Fatacarabina

Fatacarabina

domenica 22 dicembre 2013

Tutto il resto è fuffa

Sono qui in cucina, seduta al tavolo davanti alla parete gialla. In casa c'è silenzio, i panni sono già stati lavati e messi ad asciugare, io tra poco vado a lavare i miei capelli.

Corro sempre, corro tutti i giorni, proprio come tanti altri. Corriamo da una parte all'altra, dal lavoro agli impegni familiari, dagli amici ai parenti malati. Corriamo. A volte ci pare di non essere capaci di stare fermi, non abbiamo il tempo di stare fermi.

E invece io adesso sono qui nella mia casa, nella mia cucina, e sto ferma. Qualcuno potrebbe obiettare: eh ma stai scrivendo, mica stai ferma. Vero, ma scrivere è un atto di libertà, non una azione incatenata. Lo fai solo se hai voglia. Ti esprimi al meglio solo se hai voglia. Tutto il resto è fuffa.

Sono qui a scrivere che per me è come respirare a fondo, lentamente, per far funzionare bene i polmoni e areare i miei pensieri e mi dico che questi sono  mesi di grandi preoccupazioni, certo, e di grande pazienza, certo, e di mattinate in luoghi dove vorresti stare il meno possibile, certo, ma sono anche mesi di grande pace, di grande gioia, di grande soddisfazione.

E scatta, nel dirlo, un senso minimo di pudore, perché pare strano che questo sia uno dei periodi più difficili ma che sia nel contempo anche uno dei più lievi. E soprattutto ci vuole pudore nel dirlo che si vorrebbe che questo stato non finisse mai.
Ma poi mi dico che è un bene che ci sia tutto questo lieve, come la piuma di Forrest Gump, perché è quello, il lieve, a rendere bello ciò che vediamo attorno. E se non lo si dice, almeno bisogna dirselo chiaramente. Ora che è davanti a me, la piuma, ogni volta che la guardo mi viene da dirle grazie, che c'è, che mi gira attorno, che mi si posa sulla pelle, che mi solletica fino a scatenarmi una risata o che mi accarezza con una tale dolcezza che mi disarma.
A volte quando ci sto vicino e ho paura che voli via, mi sento come un elefante che come si sposta rompe vasi. Altre volte quando ho solo bisogno di averla vicina, mi sento piumetta pure io e mi sento bene, così, in questo stato che è fatto di amore e di orgoglio, nel senso che se ami devi avercelo dell'orgoglio.
E tutto il resto è fuffa.





mercoledì 11 dicembre 2013

Dalla parte dell'albero

Qui parlo dell'albero che è il protagonista della "Castagna matta", nuovo ebook scritto da me per i tipi di Blonk. Presto arriverà anche su Itunes (mi dicono e quindi ci spero), mentre lo trovate già in tutti i book store del globo terracqueo.

giovedì 5 dicembre 2013

giovedì 21 novembre 2013

Io mangio cioccolata

Avevo completamente dimenticato che sapore ha una giornata di merda.
Sono stata fortunata, mi dico, che sono stata mesi senza questo sapore amaro che tende a modificarti, alla lunga, tutti gli altri sapori e insomma modifica ogni percezione.
Io lo combatto a piccole dosi di cacao fondente.
Per ripristinare un buon sapore.

Che il pessimismo è così, un velo grigio calato sulla retina che distorce la visione.
Un sapore di merda in bocca che ti altera il gusto.
Il pessimismo è una modifica della percezione della vita, insomma.
Perché è semplicemente impossibile che tutto sia grigio e tutto sappia di merda.
Eppure.

L'ottimismo, c'è chi pensa sia una malattia ben peggiore. Sono i pessimisti a dirlo, invidiosi. L'ottimismo non è fatto esclusivamente di sole, mare blu, amore a fiumi che esce dai rubinetti in ogni dove.
L'ottimismo è anche solo stare bene con i sapori e i colori che sono naturali di queste giornate a cui cerchiamo di dare un senso. Forse un senso non si dovrebbe darlo, semplicemente le cose accadono. E spesso accadono per caso. E allora ci si sente fortunati.
Di aver passato mesi senza una giornata di merda, di aver provato a costruire una serenità attorno a noi, di aver scelto la fiducia, di aver scommesso sulle nostre capacità, di aver condiviso ogni singola risata, o meglio di averla cercata la risata, antidoto fortissimo, di esser stati lievi come un gatto che passeggia in una casa buia di notte, con il passo sicuro e silenzioso di chi sa, nonostante tutto, che sta andando nella direzione giusta.
Poi, capita la giornata di merda e resti stupita di averne dimenticato l'amaro sapore.
E mangi cioccolata per aiutarti a dimenticarlo di nuovo.

domenica 20 ottobre 2013

Pensavate che mi ero morsa la lingua e invece...

E invece parlo, ma soprattutto penso.
Sono settimane che penso, più che venir qua a scrivere quel che penso, penso e basta.
Penso che sto vivendo un momento della mia vita importante, in cui le paturnie post-adolescenzialietrentennali devono lasciare il posto ad una nuova consapevolezza.
Che non significa non avere dubbi, per carità.
Forse significa invecchiare, per carità.
Ma lasciamo stare.
Mi concentro un attimo su questa consapevolezza, che sento che dentro di me, ha trovato un suo spazio. Ampio, come le bolle di sapone che si espandono.

Significa, anzitutto,  prendersi la responsabilità di vedersi per quello che si è e comportarsi di conseguenza.
Significa scacciare gli incubi dell'insicurezza per guardarsi allo specchio e trovarsi bellissimi, con tutti quei difetti che molto più degli eventuali pregi fanno la nostra unicità.
E bellissimi, andare, provare concretamente ad esserlo felici, giorno per giorno.
Con la lentezza del tempo scandito dalle 24 ore e dalle 24 successive, e via andare, senza mai porsi il problema del per sempre.
Ho capito, in questo pensare di giorni e di cose da fare, importanti tutte, che il per sempre non ha ragione d'essere se non si è capaci di essere felici oggi con chi si ha vicino.
E se chi ci sta vicino ha bisogno di aria o forse rischia di non avere poi tutto il tempo del per sempre, meglio stargli vicino e godersi l'oggi, il domani, il dopodomani e tutti i giorni che si sarà capaci di stare assieme.
L'importante è farlo bene. E mica è facile.

Non dovremmo mai dire che un sentimento è per sempre. Noi non siamo destinati a rimanere fermi per sempre, poi a pensarci bene, non esistiamo neanche per sempre.
Dobbiamo ammettere a noi stessi che è molto meglio se amiamo oggi e sperare domani di alzarci e dirlo di nuovo e così via. Solo così è possibile essere felici, se è quello che desideriamo.
O scegliere di non dirlo se è quello che non vogliamo.
Pare facile eppure è molto più semplice pensare di cavarsela con un per sempre e poi dimenticare che abbiamo una responsabilità verso noi stessi e chi ci sta vicino. Quella di vivere il più possibile serenamente un rapporto. Nella lentezza di 24 o 48 o 1200 ore, non fa differenza.


sabato 5 ottobre 2013

L'ho rifatto

Scrivere è il mio mestiere, è quello che mi permette di avere una vita indipendente e decorosa.
Scrivere per me è normale, scrivo tutto il giorno.
Sempre.
Scrivere però significa anche mettersi in gioco, per fortuna.
Raccontare, rischiando di fare errori, di non tenere in considerazione tutto, di non essere capiti.
L'ho rifatto, questo sforzo, che vi assicuro che lo è, e sono stata indecisa fino all'ultimo, poi una serie di eventi mi hanno fatto avere il guizzo finale di dire ok, proviamo, vediamo se va.
Vedremo se va.
Resta il piacere del fermare le dita, dopo, con la stanchezza soddisfatta di chi ci ha provato e di accorgersi che il gusto vero è quello.

domenica 29 settembre 2013

Berliner mauer

Sono appena tornata da Berlino. Pochi giorni ma sufficienti a dichiararmi felice.
Giorni mica facili, tra preoccupazioni vere e una sensazione di felicità da mettere alla prova, piano piano, senza fretta.
Berlino è uno schiaffo.
Ti chiedi in continuazione come facciano ad essere così placidi dopo quel che hanno passato. Prima il nazismo, poi la devastazione della guerra, e, ancora, la spartizione dolorosa di una città divisa da un muro che dall'89 (1989) non c'è più ma che è nelle menti di tutti. Dolore su dolore.
Berlino non cancella niente.
Berlino ti sbatte in faccia la topografia del terrore, la faccia di Himmler che se la ride, le tracce del muro, dove era come era, la stazioni fantasma tra Est e Ovest murate.
Passi dalla riproduzione di Asisi (ottima ma costosa) ai luoghi del ricordo, dal museo della Stasi a quello della Ddr e non fai che chiederti come sia possibile che una città abbia vissuto tutto questo in una orribile soluzione di continuità che potrebbe stremare chiunque.
Passi davanti al Check point Charlie, e ti infastidisce il rito della foto con i finti militari americani in divisa che stonano così tanto, nel loro giocoso mostrarsi, con la forza della memoria.
E fuggi via in cerca di altra memoria, con un sacco di domande, che alle fermate della metro, se sei capace di arrivarci nonostante le non indicazioni per turisti, trovi ad ogni angolo.
Berlino sorride.
Paciosa, vede passare la maratona e nessuno alza la voce, anzi al passare dei maratoneti tirano fuori dalle borse le tricchettracche per incitare. La gente sorride oltre la media. E se sai essere felice, nonostante dubbi e preoccupazioni, ti senti a posto.
Del resto qui l'educazione civica si esprime al meglio. Non ci sono carte per terra (in centro ma anche allo Zoo mica è male). I bambini non lanciano la salvietta dalla bici in corsa ma si fermano ai pochi bidoni a depositarle. Compri l'acqua e devi riportare il vuoto per pagarla poco. La gente sale con la bici sulla metro e nessuno si scompone. E la metro è senza tornelli.
Vaghi libero, senza limiti, ma se ti trovano senza biglietto sono seicento euro di multa.
Berlino è un cantiere. Si costruisce, si restaura ovunque. Si progetta, si ammoderna, si recupera.
Berlino mi piace, molto.



domenica 15 settembre 2013

Medaglia, medaglia

Adoro ricevere regali.
Mi piace l'effetto sorpresa, il trovarmi davanti qualcosa che non so dire subito cosa sia.
Mi immagino la mia faccia stupita e divertita e insomma mi diverto.
Mi piace l'idea che qualcuno ci abbia messo del tempo a pensare a qualcosa da donare a me.

Mi piace molto di più farli i regali. Un buon libro salva sempre, dice qualcuno, ma un bel libro è molto di più, è la consegna di una immaginazione da provare. Un sentimento trasmesso nei fogli di carta.
Vuoi mettere? Donare un libro non è mai azione banale, quindi.
L'esercizio più bello sono, quindi,  i regali pensati, quelli che non ti spingono a comperare di impeto qualsiasi cosa in base al costo del cartellino, tanto va bene basta sia sufficientemente costoso da non sfigurare. No, non mi interessa. I regali più belli da fare sono quelli, che prima di farli, stai lì a studiare le aspirazioni, le passioni della persona che lo riceverà. Ti immagini la faccia stupita, la reazione, il divertimento.
Un regalo utile è sempre ben gradito, un regalo che è pure  piacevole è un passo oltre.
Un passaggio voluttuoso, come una carezza.

mercoledì 4 settembre 2013

domenica 1 settembre 2013

Mi sa che sono un gatto

Mi aggiro al buio dentro e fuori le stanze e non sbatto contro niente.
Apro gli occhi al minimo rumore e poi mi lascio cullare dai riflessi della penombra immaginandomi chissà che. E dormo bene.
Assumo la forma della ciambella sul letto.
Poi da sveglia so essere di un fastidioso che non so dire.
Però miagolo spesso di contentezza.
Mi manca il pelo grigio sulle orecchie e sono un gatto.


domenica 25 agosto 2013

Dire, non dire

E poi una mattina ti guardi allo specchio e il volto riflesso dall'altra parte ti fa l'occhiolino e ti chiede: "Sei felice?".
E tu c'hai del pudore, quasi, nel dire e allora ti limiti ad annuire.
E sorridi alla te riflessa che intuisce e ricambia.
E l'occhiolino stavolta lo fai tu.
Ché la felicità ha l'odore delle piccole cose fatte bene, come vanno fatte.


martedì 20 agosto 2013

Piccolo esercizio per guarire dalla lamentosi

Ok piove, è estate e come è normale, ogni tanto piove. La temperatura cala, grazie all'azione benefica del vento. C'è un bel temporale estivo.
Ecco tutti gli ingredienti per sfangare la giornata, si è trovato il tema giusto per scrivere qualcosa anche quando non si ha nulla da scrivere. Il maltempo. Oh maledetto, oh cattivo, ho freddo, oh me tapino/a che vedo rovinata la mia ennesima giornata estiva in cui avrei fatto comunque poco, ma vuoi mettere la malinconia della pioggia...

Guarire si  può.
Dalla lamentosi intendo, dalla vita triste ci vuole maggiore impegno.
Ecco un piccolo esercizio contro la lamentosi:

Prendete una sedia, mettetela in giardino o scendete in strada, in maglietta e pantaloni, come siete, con le ciabattine infradito e zitti zitti, prendetevela tutta la pioggia.
State lì fermi a sentire le gocce di pioggia che vi cadono sui capelli, sul viso, sulle braccia, sul naso, sul collo. Non state a pensare che vi state prendendo la pioggia, pensate invece ad altro.
All'ultima volta che avete goduto, alla faccia sorridente che avete fatto davanti ad una coppa di gelato, al film che vi ha fatto ridere tanto.
Poi passate a godervi la pioggia.
Vi assicuro che dopo qualche minuto sarete sorridenti, accomodati a prendere la pioggia, con i suoi cambi di ritmo, i colpi di vento, la carezza gentile della goccia che cade e che mai è maleducata e violenta.
Non fatevi prendere dal timore del raffreddore, se arriva amen (non morirete).
Non preoccupatevi di essere soli in strada o in giardino sotto la pioggia e di passar per strani se qualcuno dalla finestra nota un figuro che la pioggia se la sta pigliando tutta, sorridendo.
Non siete migliori, no.
Siete semplicemente a vostro agio.
Lasciate che la pioggia diventi parte di voi, vi accarezzi anche là dove nessuno ha osato, intendo il ginocchio che è una vita che vorreste farlo baciare a qualcuno e non osate chiedere. Perché non sta bene.
Ecco,  scacciate il  non sta bene. Se sta bene a voi, sta bene. Punto.
Il mondo non è lì alla finestra per giudicarvi, è alla finestra chiusa a veder scendere la pioggia e pensa ai cacchi suoi.
Lui non trova altro gioco che il lamento, voi no.
Voi pensate agli affari vostri sotto la pioggia, liberi di stare in silenzio o di cantare, se ne avete voglia; di ridere; di bagnare i vostri vestiti, tanto poi ci pensa la lavatrice a fare il lavoro sporco; liberi di bagnare voi stessi e di domandarvi quand'è stata quella volta che avete dimenticato che bagnarsi è bello.

Ciao

lunedì 12 agosto 2013

Domandine del lunedì

Chi è che mi spiega come mai l'amore produce voglia di futuro ma riesce a vivere solo nella quotidianità del presente?

lunedì 5 agosto 2013

Coach

Oggi mi servirebbe un allenatore dell'ego, un incitatore. Un professionista che si mette là ad urlarmi che ce la posso fare, che tutto andrà ottimamente perché sono capace di grandi prestazioni, io.

lunedì 29 luglio 2013

Il tempo fa benissimo

Un anno fa, di questi giorni, era un tempo di patimenti, di preoccupazioni, di sensi di colpa, e pure di forte mancanza. Un anno fa, di questi tempi, era un continuo cozzare contro un muro altissimo fatto di incapacità di capire. Un anno fa, di questi tempi, si rideva poco perché c'era poco da ridere.
Che erano tempi strani, evidentemente.
A fatica, perché la prima reazione sarebbe quella di pensare che è stato solo un brutto incubo, adesso, un anno dopo, di questi tempi, mi tocca un pochetto anche ringraziare quel periodo di merda perché ho capito quali sono le cose che non voglio più ritrovarmi a fare o a vivere.
E adesso trallallà.


sabato 27 luglio 2013

Incavi

Si sta sospesi ma si sta sospesi contando su appoggi sicuri, incavi che sostengono.
La mia testa e il mio collo si appoggiano comodamente sulla sua spalla, quando si passeggia.
E il suo braccio teso e la spalla sollevata diventano un comodo cuscino.
Così come la fossetta che si forma sotto l'osso del suo bacino disteso diventa un comodo appoggio per  il mio palmo.

lunedì 22 luglio 2013

Codice

Mi viene detto che dico troppo. Cosa è troppo? Cosa è troppo poco?
Mi viene detto che dico troppo ma alla fine il problema, non mio, è che dico.
Che quel che sento non lo lascio marcire dentro, non lo getto in pasto alle galline, non ci gioco come fossero caccole prima di spararle lontano.
Quel che sento lo dico, e non è solo con le parole, lo dico coi miei sorrisi.
Dicono che sorrido spesso, ho una soglia di sorrisibilità più alta della media di depressi in circolazione, pare.
Ma chi mi conosce sa riconoscere al volo un mio sorriso tirato da uno spontaneo.
E il bello è che ci azzeccano pure.
Ma con le parole pare che ci sia chi ha problemi, perché le parole sono già state usate da altri e riecheggiano con tonalità strane, forse? Allora ho pensato che è meglio se uso parole in codice.
Che capisco solo io.
Ho deciso.


venerdì 19 luglio 2013

Pilloline

Comunque un bel modo per vivere sereni è non pensare mai che gli altri stiano tutto il tempo a disquisire, interrogarsi, dibattere, giudicare, pensare a noi.

giovedì 18 luglio 2013

Arrossire

Sto riscoprendo tanti piaceri. Mi accorgo che ora quando li provo, uno ad uno, o tutti assieme arrossisco dentro. Che è lo stesso di arrossire fuori ma senza l'evidenza esterna.
Però, secondo me, si vede lo stesso che dentro arrossisco e ho quasi del pudore che mi avanza, ma sento anche il bisogno di dirlo che mi fa bene il tempo che mi prendo e il tempo che mi viene donato.
Arrossisco e mi fa bene.


lunedì 1 luglio 2013

Di dinamo e cesire

Sto bene e me ne compiaccio e pure un poco mi stupisco che sto bene; così bene.
Perché sono come la dinamo di una bicicletta, io. Nel movimento trovo energie e non mi abituo ai dati di fatto, cerco conferme prima su di me che sugli altri.
Pensavo di avere una luce spenta, capita a tutti il pensarlo, e invece ecco che la bicicletta che sono io riparte bella illuminata da questa dinamo. 
Son Cesira, lo penso e ne rido contenta.
Non abituarmi mai è il mio modo migliore per godere di quel che mi succede.
E come la Cesira, spero di far godere, chè così  anche io godo di più. 
Come la dinamo. 


martedì 25 giugno 2013

Paragoni

"Secondo me, te, fata, sei come un piatto di fegato alla veneziana, cucinato alla trattoria dei tuoi amici"

48 ore

Bastano 48 ore per cambiare il passo. Da lento a veloce.
 Per far tornare la fame, quella che senti dal fondo.
Per far tornare lo sguardo birichino verso lo specchio e ricordarsi che la pelle è piena di terminazioni nervose e ognuna viaggia autonoma e sa regalare sensazioni che non ricordavi.
Bastano 48 ore per passare da sasso a cascata di acqua fredda che quel sasso lo modella.
E dopo, avete un desiderio: avete bisogno di ore, di tempo,  e di acqua e di sassi.

sabato 15 giugno 2013

Sabato


Inizia il doppio weekend di lavoro. Capita, i turni sono così. Ma la sensazione di non avere una domenica libera comincia a pesarmi. Certo, certo, arriverà subito qualcuno a dirmi che è meglio lavorare che non avercelo un lavoro.
Comprendo, è verissimo, mi tocca far parte di quelli che lamentarsi non possono, perché appena ti giri c'è qualcuno che sta peggio e più si sta peggio, più il lamento diventa comportamento inutile, da stronzi.
E quindi non mi lamento.
Non intendo minimamente provarci.
Sono una privilegiata, io. E taglio la testa al toro subito a chi verrà a dirmi che non mi posso lamentare se lavoro due weekend di seguito.
Avete ragione.
Il punto è un altro.

Leggevo l'altro giorno, non mi ricordo dove, che in Giappone le donne cominciano ad andare al lavoro con la mutanda pannolone perché sono sempre di corsa e anche la pausa pipì è diventata un lusso e allora la fanno lì, nel pannolone, e non perdono in produttività.
Poi quando devono uscire con il moroso ovviamente lo tolgono, il pannolone.
Ecco, leggo la notizia, mi parte un sorriso triste che se per lavorare non si può neanche più pisciare siamo messi male, mi dico, noi che un lavoro ce lo abbiamo e per questo non ci dobbiamo lamentare.
Perché è vero che è peggio non avercelo un lavoro, ma è peggio anche lavorare e sentirsi per questo dei privilegiati in un paese la cui Costituzione dice che la repubblica è fondata sul lavoro  e  non l'hanno mica scritta a caso quella frase perché lavorando ci si può permettere di essere liberi. Ma io ci aggiungerei, in termini generali, che bisogna lavorare bene. Perché  lavorare male significa doversi abituare al concetto, che visto che la merda è generale, chi ce l'ha non si può mai lamentare. E un giorno, magari, andrà al supermercato a fare scorta di mutande pannolone.

Non so se mi sono spiegata.



martedì 4 giugno 2013

Salvavita

Ho delle domande ma non le farò.
Mi appare strana questa sensazione di avere una domanda che, a volte, mi sale per la gola, mi solletica il palato, stuzzica il cervello.
Di solito mi viene naturale fare domande.
Di fronte ai ricordi, invece, scatta il salvavita.
Lui, il cervello, si mette in moto, fa tutti i suoi giri, valuta la situazione, prende la domanda, la appallottola con velocità, la ricaccia sul palato, trattiene uno starnuto, impone di deglutire.
E io mi metto a fare altro.

Perfezionista


lunedì 3 giugno 2013

Giugno

Al risveglio c'era un poco di sole. Durato troppo poco, il tempo di alzarmi dal letto, stiracchiare la schiena, entrare in bagno e poi regalarmi una doccia.
Calda. Ho il raffreddore, a giugno.
Come ho messo l'accappatoio il sole era già finito dietro una nuvola, regalando un cielo tra il blu e il grigio lieve. Incerto.
Ho fatto sogni strani stanotte, colpa del kebab che ho mangiato ieri sera dopo il lavoro. Sono sicura che la colpa è del piccante.
Un uomo solitamente scorbutico con cui ho spesso a che fare che si è messo in testa di baciare dolcemente la mia guancia. E io stupita da un gesto così incredibile per un animo tanto duro stavo a vedere che succedeva. Non con piacere ma con evidente stupore, come quando sei al cinema per vedere un thriller e ti aspetti, scena dopo scena, il via al massacro.
Ma non c'è stato massacro.
C'è stata una mano che si è anteposta, la mano, non mia, alle labbra che volevano sfiorare la mia guancia. C'è stato lo sguardo dello scorbutico passato dal dolce mieloso all'infastidito.
C'è stato uno spostamento d'aria che mi ha fatto sentire sicura e un colpo di vento che mi ha fatto alzare dalla sedia per correre ad aprire la finestra e guardare fuori e c'era un cielo come oggi, incerto, tra il blu e il grigio.

venerdì 31 maggio 2013

Chi non partecipa è un barlocco

Ecco ho scritto un libro.
Dentro tra le pagine c'è solo una parola, una delle poche che da sole fanno un libro, perché dentro ci sta tutto. In una parola.

GOLOSESSO

E adesso divertitevi a trovarmi altre parole, anche dialettali, come questa che è veneziana, per un libro.
Una parola, un libro.
Secondo me, vinco io (gnegnegne).

Ps: barlocco me lo sono inventato or ora.

mercoledì 29 maggio 2013

Ci siamo capiti?

E' proprio vero che alla fine ci si abitua. Sembra impossibile all'inizio, poi poco alla volta ci si abitua.
Situazioni come l'assenza producono abitudine, una sorta di anestetico che a lungo andare, preso nelle dosi necessarie, riequilibra tutto.
Si deve partire dalla constatazione che nulla facendo nulla cambierà?
No, secondo me no.
C'è chi la chiama rassegnazione, ma io questa parola la trovo fastidiosa.
 Io l'ho sempre un poco detestata, la rassegnazione; ho sempre pensato fosse roba da codardi, da menti prive di ossa forti.
Rassegnarsi  è ammettere un fallimento.
Preferisco parlare, spesso, di abitudine, io.
Abituarsi è prendere atto che le cose sono cambiate.
Rassegnarsi è un poco come ammettere di aver visto malissimo.
Abituarsi è come  lo spirito di adattamento, saper andare avanti anche sul terreno sconnesso.
Sono sensazioni assolutamente differenti.
Una parte da una sconfitta, l'altra fa della presunta sconfitta (?) una prospettiva differente.
In mezzo ci sta il solito mondo di sfumature, che uno può decidere di non vedere o di ammirare, un poco in disparte, o ancora ci può fare tuffi dentro e sentire le diverse temperature.
Ci siamo capiti?

sabato 25 maggio 2013

Dialoghi dell'una di notte

Mi hanno chiesto che tipo di figa voglio essere io.
Ho risposto che voglio essere un sapore e un profumo, di quelli che quando li risenti si capisce subito che sono io.
E ho detto che vorrei essere meno un casin.
Mi hanno risposto che proprio dal mio scompiglio nascono sapori e profumi.
Poi ho dormito.

mercoledì 22 maggio 2013

Gli aridi

Non mi avrete mai nel vostro circoletto pettegolo e saccente.
Non mi avrete mai nel rito della noia sbadigliata a piccoli sorsi di gin tonic.
Non mi avrete mai complice dei vostri sotterfugi.
Non mi avrete mai spettatrice dei vostri umori espettorati con garbo.
Non mi avrete mai nel coro di sottofondo del buuu al brutto, al fesso, al solo, alla racchia, alla zitella.
Non mi avrete mai partecipe del rito spocchioso del piacersi per forza.
Non ci sono.
Per voi.
No.

martedì 21 maggio 2013

Parli con me?

E no, non sono Bob.
Io davanti allo specchio mi faccio un sorrisetto, controllo le rughe, mi spalmo la crema sulla faccia. Mi faccio un sorrisetto, mi guardo mentre mi passa per la testa un pensiero sconcio, lo vedo perfettamente il pensiero che fa il suo giro e poi evapora, mi faccio la faccia birba e  me la rido. 
Mi mando in mona da sola. 
No, io non sono Bob o meglio Travis. 
Non mi punterei mai una pistola contro.
Al massimo userei una di quelle di plastica, che spari ed esce la scritta "Bang" o esce un fiore.
E giù a ridere.
(si capisce che ho rivisto "Taxi driver?)  

mercoledì 15 maggio 2013

Nuove case

Blonk, la casa editrice tanto bellina, ha deciso di ospitarmi.
Mi potete leggere anche lì, adesso.
Il primo post si chiama "Trallallà".
Spero di avere tante altre cose da dire.
Ciao
Qui il blog su Blonk

martedì 14 maggio 2013

Dei cartoni

Ieri sera ho rivisto con gli amici "Madagascar 3" e pensavo poi che solo un animale  poteva rappresentare la forza dell'impossibile che diventa possibile come, appunto, un animale di duecento chili che attraversa l'anello indossato dalla più piccola delle bambine e per di più infuocato.
E l'animale è la tigre.
La mia amica , qua presente , annuisce e chiede litri di balsamo per capelli alla frutta.
Io mi adeguo.

venerdì 10 maggio 2013

Abbi un libraio di fiducia!!

Dopo un periodo di passione tecnologica che mi ha portato a comperare e leggere esclusivamente libri sul mio Ipad (confermo che è comodissimo, perché te lo porti dietro e puoi leggere ovunque anche nei momenti vuoti del lavoro e lo fai con un occhio alle news e alle mail e insomma per una donna che è multitasking di natura è normale tutto questo) io avevo bisogno di carta.
Di sentire al tatto e all'olfatto che tra le mani ho un libro.
Se poi azzecchi il libro che ti fa sorridere, non appena lo apri, la soddisfazione arriva a livelli importanti che per una donna è normale, ma decisivo, per stare bene.
Insomma, l'altro giorno sono tornata dal mio libraio di fiducia.
Ho comperato libri a getto, tranne uno, "La cagnetta" di Grossman, che mi è stato regalato e ho letto con piacere, e che ho pensato, a mia volta, di regalare.
Perché ci sono libri che vanno regalati.
Gli altri li ho comperati con il metodo migliore che conosca, cioè vago tra gli scaffali, mi lascio attirare da nomi di autori e titoli, poi alzo il volumetto verso il libraio che è seduto alla cassa, davanti al computer, e dico. "Billy, e questo?".
E attendo.
Dopo un poco Billy guarda verso di me e parla.
(La durata dipende dalla voglia che ha di parlare)

Quando ho alzato il "Trattato di culinaria per donne tristi" di Héctor Abad Faciolince, Billy ha sentenziato quasi subito: "Sublime".
Uomo di poche parole, il mio libraio, ma ne sa. Nel senso che lui i libri non solo li vende, ma li legge. E se è nella giornata giusta, ne viene fuori pure un dibattito che è sempre utile e dilettevole.

Appena portato a casa il sacchetto pieno di libri, è il "Trattato" il primo che ho messo sul comodino, gli altri sono finiti sparsi per casa, tra divano, tavola della cucina e mobili.
Temevo fosse una cosa per donne tristi e io ora non lo sono e non sapevo cosa aspettarmi e di intristirmi mica ho voglia.
Beh l'ho aperto e ci ho ritrovato subito, dentro, odore di Colombia, di decotti, pietanze, di desideri e di cure.
E assicuro che la mia reazione facciale va dal sorriso alla risata man mano che procedo nella lettura.
Saggezze popolari e ironia per un risultato già dalle prime pagine "sublime".
E frasi da sottolineare per la loro potenza, come quella che ripete da tempo immemore una vecchia saggia: "A tutti gli uomini manca almeno un bollore".

Ps: gli altri titoli li trovate sulla pagina di Anobii, lo dico per i curiosi

lunedì 6 maggio 2013

Interpreti di sogni, fatevi avanti

Io son qua da ieri pomeriggio, che, colpa il mal di testa, mi sono appisolata e ho dormito il sonno più pesante degli ultimi mesi, che me lo chiedo.
Nel sonno pesante diventato sogno ho visto un signore che è venuto a parlarmi mentre io sistemavo pile di libri sugli scaffali (era una biblioteca o una libreria) e mi ha sussurrato delle cose, dicendomi che sapeva chi ero e cosa scrivevo. E dal tono della voce a me pareva che aveva letto, sì, ma che non gli era piaciuto niente e gli facevo domande e lui invece mi guardava e basta, talvolta sorrideva, talvolta mi faceva domande che presupponevano una conoscenza profonda che invece mica c'era stata, perché per me lui era uno sconosciuto mentre io per lui, evidentemente, mica lo ero.
Alla fine prima di andarsene mi ha messo in mano un piccolo quaderno, pieno di appunti.
Piccolo piccolo, ma gonfio di carta.
E là, con quel quaderno mignon, nel palmo della mano, mi sono svegliata.


E da ieri mi chiedo cosa voleva dirmi, con quei foglietti che gonfiavano il piccolo diario.
(Mannaggia ai sogni che finiscono sempre quando non lo vuoi)

lunedì 29 aprile 2013

Pata-pata

Stavolta ci ho riso sopra.
Una risata lunga, liberatoria.
Perché ci vuole dell'idiozia, e io ne ho, evidentemente.
E francamente mi sta bene anche così.



sabato 27 aprile 2013

Bella ciao

Il 25 aprile, giorno della Liberazione, come sempre ero in piazza. Per lavoro e perché ci sto bene, di solito, in piazza il 25 aprile. C'era la gente, non troppa, tanti seduti ai tavolini dei caffè, comodi a seguire la commemorazione ufficiale.
C'era Natalina, 91 anni, partigiana che  ha aperto il corteo di autorità, militari, associazioni di combattenti. Lei col passo fiero, scandito dal deambulatore, apriva il corteo.
Lei che ha partorito un figlio in carcere, lei che ha pianto il fratello a cui i tedeschi non solo han tolto la vita ma pure gli occhi, in un gesto di spregio completo.
C'erano i ragazzini delle scuole in piazza, a suonare per il concerto della Liberazione.
Pianoforti, chitarre, clarini, anche delle ragazze col sax, a suonare tutti assieme davanti ad una platea di genitori armati di cellulari.
Natalina è andata via prima, io sono rimasta che c'era gente con cui scambiare qualche parola e si è finito a parlare di oggi, di questa strana situazione di un paese doveva esserci l'alternativa e poi di colpo si fa un governo tutti assieme.
"Che i vada in mona, va", la frase più scandita a mezza voce, comunque bassa.
Il tono.
Ecco, il tono.
Quando i ragazzini si sono messi a suonare "Bella ciao", io camminavo tra la gente e loro erano tutti in silenzio ad ascoltare, presi dagli scatti coi cellulari, dai discorsi con gli amici, da quel "Ma che i vada tutti in mona", sussurrato.
L'unica a cantare a voce alta ero io. Non ho visto altri muovere le labbra, scandendo le parole.
Quando me ne sono accorta, sono andata via.

domenica 21 aprile 2013

Cosa rimane?

Mi sto chiedendo cosa rimane.
Non lo so.
Ho visto una volta un uomo dedicare ad una donna una canzone struggente, di quelle che si sentono pochissimo per radio perché sono amore in ogni parola. L'aveva scritta un cantante visionario che sapeva cantare l'amore e quella canzone, se la senti, ti immedesimi e pensi che non ci sia un amore più grande di quello.
Ecco, io l'ho sentita e mi sono immedesimata.
E ho pensato che quella canzone era per me.
Pensarlo è stato come volare.
E per una fata pasticciona volare è uno dei divertimenti più grandi che possano esistere.
Quella canzone fanno bene a trasmetterla poco per radio.

Oggi in piazza, alla festa dei fiori, c'era un bambino piccolo, avrà avuto massimo due anni, in triciclo.
Indossava la maglietta con la S di Superman, con tanto di mantello.
L'ho fissato a lungo,  ho sorriso della sua disinvoltura.
Quel bambino è come quella canzone.
Adesso son qua che voglio una maglietta e un mantello da Superman e un triciclo di legno.


lunedì 15 aprile 2013

Capezzolo

Mi piace molto il nuovo sfondo, quello che c'è oramai da un pezzetto, di questo blog.
Macchie di colore. Ma io ogni volta che entro qua, ho l'occhio che mi cade su quello che a me pare proprio un capezzolo. Non femminile, ma maschile.
Non so, voi lo vedete?

domenica 7 aprile 2013

Citazioni da film

Se non hai voglia di farti l'amore da solo, come pensi che agli altri venga la voglia di farlo con te?

Aldro

E' stato morto un ragazzo, il film che racconta la lunga indagine e il processo per la morte di Federico Aldrovandi è disponibile in streaming.

L'ho visto stanotte, dopo la cena con gli amici e la visione di "The summit", in compagnia.
Rimasta sola, e infastidita dopo aver rivissuto i momenti del G8 di Genova, che fanno ancora male, mi sono detta che era il momento anche di vedere questo documentario.
Così ho portato il fastidio al massimo.

Tre dettagli riporto qui come una riflessione a voce alta.
Che il muro di omertà sia stato rotto, davvero, solo da una donna straniera, africana senza permesso di soggiorno.
Che Filippo Vendemmiati, regista del docufilm, ammetta tra le righe di aver voluto questo lavoro anche per chiedere scusa.  Davanti a chi gli disse subito "diranno che era drogato, non è andata così", anche lui, giornalista, non guardò subito oltre, non capì.

Che un avvocato non esulta ma piange, dopo la sentenza, anche se giustizia è fatta perché "non cambia nulla" . Perché quello che è accaduto la notte del 25 settembre 2005 non è uno spiacevole "imprevisto" di un mestiere difficile.



sabato 6 aprile 2013

Piccole cose di cui essere notevolmente felice

Oggi è un sabato di riposo, sto facendo un sacco di cose ma in modo diverso, non mi stanco, ho il sorriso stampato in faccia perché faccio cose che, durante la settimana, col lavoro, mica posso fare.
Oggi sono andata a passeggiare e a fare shopping in centro, ho più passeggiato che fatto shopping ma va benissimo.
Sono andata al mercato a comperare la frutta e la verdura e sono stata bene, visto che il grigio mattutino ha lasciato posto ad un timido sole e io ho aperto il cappotto.
Ho fatto cose semplici con mia madre e mia sorella, senza ansia, qualche discorso sulle solite rotture quotidiane, ma col sorriso.
Sono andata a pranzo dai miei, ho visto il pesco in fiore e mi sono beata lì sotto per un buon quarto d'ora, poi sono stata con Marley, il nuovo amico di famiglia, a giocare a tirargli la pallina tra i due ulivi di casa.
Bob, il nome del signorino Marley è un tipino veloce, che se si mette in testa che deve darti un sacco di baci non c'è niente che lo fermi e chi sono io per non lasciarlo fare?
Se uno ti bacia, specie se di nome fa Bob e di cognome Marley al massimo, per frenarne l'impeto bacioso gli canti addosso saltando.
Salta anche lui e scusami se ti pare poco a te.
Poi, a casa, ho impastato la pizza per stasera e ho fatto il rinfresco alla pasta madre che poi diventerà pane. Nel frattempo ho preparato i vasi per i semini dei peperoncini che oggi mi pareva la giornata giusta per allestire la nursery.
E i semini li ho piantati con la musica a tutto volume di sottofondo, che dicono che concilia.
Cosa? La crescita dei semini.
Se ci pensi la musica concilia un sacco di cose, il lavoro, i viaggi, l'amore, il sesso pomeridiano e mattutino e pure serale, a pensarci bene.
Mi sa che i peperoncini hanno voglia di crescere perché finita la semina, accendendomi una sigaretta di soddisfazione, senza essermi lavata le mani, le labbra mi si sono infiammate e adesso sono qui che sorrido, che penso che se adesso qualcuno mi bacia pensa davvero che sono fuoco.


mercoledì 3 aprile 2013

Sai cosa?

Sai quale è il fastidio?
Sentire la mancanza di una voce e di un sorriso pur temendo di essere oggi pensata, forse, più simile ad un brufolo pieno di pus che a un bel ricordo.
E il forse non è dubitativo.

Dire

Avere questa sensazione di non aver niente da dire fa bene.
Ci si sente scemi il giusto per aver bisogno di imparare cose nuove.
Ci si sente scemi il giusto per rischiare di fare stando zitti.
Dire, per forza, qualcosa è pratica decisamente meno benefica.
E poi se dici, dici, dici, lo fai per essere ascoltato o per dare voce al cervello, che macina e ti parla ogni secondo?



domenica 24 marzo 2013

Psssss

Come stai?

Ricordando le fosse Ardeatine

FUCILAZIONE

Un bambino faceva le bolle di sapone
dalla finestra quando mi fucilarono
sulla piazza piantata di alberi senza nome,
una mattina deserta con poco sole
tra i rami secchi che non trattenevano le voci,
tra quinte grige di imposte sprangate
oscillavano effimere formazioni, grappoli
subito disfatti in acini trasparenti.
Un bimbo, solo una tenera macchia viva
in un rettangolo nero,
c'era un vasetto rosso sul davanzale,
la sola cosa rossa in quel giorno tutto grigio,
io non potevo vedere i suoi occhi
sentivo la sua anima appendersi dondolando
in cima alla cannuccia di paglia,
staccarsi con un brivido, volare in silenzio,
trattenere il fiato per pregare il vento,
attraversare il poco sole in punta di piedi,
rapita in una smorfia di felicità.
I miei carnefici gli voltavano le spalle,
nessuno di loro poté vedere le sue mani
sollevarsi in adorazione quando una bolla
più gonfia, la più bella di tutte,
partì dal davanzale come un pianeta di cristallo
e prima di scendere salì verso il tetto
come una preghiera, come una favola,
piena d'ogni dolcezza che non si può perdere,
intatta e vera per il suo tempo giusto,
non ci sono abbastanza plotoni d'esecuzione
in questo mondo e in ogni altro
per fucilare tutte le bolle di sapone.

(G. Rodari)


Ps: L'ho risentita oggi per radio, in un ricordo dedicato alle Fosse Ardeatine. Ammetto che mi era passata di mente.  Mi pare giusto rileggerla un sacco di volte, d'ora in poi, e la metto qui

sabato 23 marzo 2013

Guerra civile

Sono un po' di giorni che ci penso, a questa cosa della guerra civile.
Prima era un termine che non si usava, nelle normali discussioni. Ora lo si usa eccome.
Lo usano anche taluni miei amici "grillini" che tentano di spiegarmi che l'unica soluzione è un governo tutto loro contro l'oligarchia imperante.
Non ha detto proprio queste precise parole ma ha usato il termine battaglia nelle piazze, di recente, pure B. Evidentemente chi la urla più grossa trova ascolto.
Purtroppo.
Gli amici cinquestellati  mi tirano fuori il discorso che se non va così, tanto Bersani fallirà, e allora il governo dovrà andare a loro magari con un bel risultatone alle prossime elezioni, è l'unica soluzione, ci sarà la guerra civile.
Insomma esci di casa e devi stare attento perché ti sparano dietro?
Ci sarà il cecchino collegato via streaming al quartier generale che indica chi colpire? Ci saranno rastrellamenti, bombardamenti? Torneremo ad imparare a costruire una molotov, devo tirar fuori la carabina dall'armadio e sistemarla?
No, perché, sia chiaro.
Guerra civile significa ammazzarsi.
Significa uscire di casa col maglioncino, l'ipad e se hai culo, la rivoltella carica.
Significa non solo dividere il mondo tra locali e stranieri, che è una abitudine di molti, ma anche dividerlo in fazioni di voto. E sparare al nemico che prima era il tuo vicino di casa e siccome ti stava un poco sul culo, evitavi di parlarci.

Aspetta, il voto.
Estremizzo le percentuali per farmi capire: un 30 per cento è col centrosinistra, un altro 30 per cento con i cinquestellati pronti alla guerra civile (tutti? no, non dico tutti ma il termine si sente in giro) e un 30 per cento ha votato centrodestra. Secondo me quell'ultimo 30 per cento può dividersi in un quindici per cento di convinti e in un quindici per cento di illusi dalla restituzione dell'Imu direttamente nel conto corrente. Estremizzo, forse sono di più.
Come si comporterà questo 15 per cento in caso di guerra civile e l'altro 15? Chiameranno la polizia e i carabinieri? E loro, le forze dell'ordine? Mi vengono i brividi solo a pensarci.
E come si comporterà quel 30 per cento di paciosi centrosinistri che alla fine, è vero, potevano fare molto e hanno fatto poco rispetto alle aspettative che molti avevano su di loro? E quindi perché fidarsi?

Cioè io mi sto chiedendo tutte queste cose.
Cioè di cosa stiamo parlando? Di guerra civile?
Di spararci a vicenda?
E no, non ditemi che è stato così anche per la guerra di Liberazione perché quella fu Resistenza contro l'invasore e il dittatore.
Ecco, il dittatore.
Chi lascia liberamente parlare di battaglie e guerre civili gli piacerebbe tanto il ruolo di dittatore.
Chissà come mai?
Perché la democrazia è una pratica complicata, estenuante, prevede ascolto, dialogo e poi capacità di qualcuno di fare sintesi.
Difficile, vero?
Meglio allora giocare ai cecchini, magari c'è chi si sta già allenando coi giochetti del pc....

E qui mi fermo.



giovedì 7 marzo 2013

Di sensi e mattoni

A volte capita che le cose vadano male e che per il fatto che sono andate tanto male , si finisca per portarsi dietro un senso di colpa, indefinito e immotivato ma che c'è. Un senso come di non aver spiegato abbastanza o fatto abbastanza e tanto basta, se ci tieni, a sentirti in colpa per la tua codardia e incapacità.

Ci vuole un pezzo per rendersi conto dell'errore.
Ci vuole pazienza e anche un pochino di sana propensione per il dialogo, se si ha la fortuna di non portarsi dietro pure il rancore.
E quando ti accorgi del muro eretto contro di te prima cerchi di scavalcarlo ma ad un certo punto ti metti ad osservarlo, quel muro, così meticolosamente costruito, mattone su mattone, color marron, così liscio da apparire perfetto senza manco una piantina selvaggia che ci cresce sopra, fregandosene del liscio e del solido. Un muro che a guardarlo bene non pensi minimamente sia stato costruito per te ma che sia una azione meticolosa di anni, il lavoro di una vita.
E  se bussi sui mattoni, quelli sono così spessi che dall'altra parte non risponde nessuno.

E allora al primo angolo lo scarichi il fardello dalla spalla e lo butti lì per terra, e te ne vai.
Non lo sollevi più, non lo metti manco nel cassonetto dell'indifferenziato, semplicemente te ne vai e lasci quel senso di colpa solo al suo destino.


mercoledì 6 marzo 2013

martedì 5 marzo 2013

Effetti speciali

Sono una donna strana.
Mi sono innamorata tempo fa di alcuni ricci di capelli intravisti e mai toccati, perché quei ricci non ci sono più. Tagliati via.
Che cosa stupida, mi son detta, tagliare capelli ricci, pieni di vita.
Mi sono innamorata di ricci mai visti ma intravisti eppur così vitali da esserci anche se non c'erano.
Sembrano quelle storie che raccontano i vecchi ai pronipoti: amori che non stai lì a chiederti se c'erano davvero o no. Belli per quel che hai sentito, perché a toccare ricci inesistenti ci si sente speciali.
E poco importa, alla fine, se non è vero.

sabato 2 marzo 2013

Se non fosse

Se non fosse che siamo davvero ad un passo dall'affogare nella cacca nazionale, sarebbe da lasciarlo lì da solo a urlare.
No, perché quello là, quello che sa come si fa un paese normale, e per dirlo non fa che insultare, ecco secondo me lui sa che il paese sta per fare quel passo, ma a lui interessa ora, soltanto, che tutti gli altri gli urlino "Hai ragione tu!!!".
E io a quelli e quelle che pensano solo che devono aver ragione loro e quando discutono (che bello che è il discutere, il confrontarsi) hanno l'unico obiettivo non di fare un passo non verso la cacca, ma verso una sana mediazione che sia di miglioramento collettivo, ma solo di ribadire che hanno ragione loro, io quelli,  ecco, li lascerei da soli a urlarlo. Al cielo.
E manco quello li ascolta.


lunedì 25 febbraio 2013

in realtà

in realtà il post precedente comprendeva tutta una parte che ho cancellato, perché sono affari miei.
Comunque questa cosa che mi autocensuro deve finire.

Votare è sperare

Ieri mattina, domenica, giorno di riposo, giorno di elezioni.
Mi sono svegliata con una carica che mi diceva "vai, muoviti, vai a votare e esprimi quello che senti, dillo cosa senti".
Era un pezzo che non andavo a votare con tanta soddisfazione. Al seggio ho trovato i vicini di casa, anche loro mi hanno detto che sentivano una emozione dentro, e la stessa cosa mi han detto alcuni amici, incrociati per caso, all'ingresso della scuola. Abitiamo vicini ma non lo sapevamo, scambio di sorrisi, complimenti inattesi a me, io ho sorriso. Sono andata avanti tutto il giorno  a sorridere. Anche se poi in una discussione sul voto ai grillini mi sono arrivate addosso le parole di Gaber, durissime verso il mio lavoro, e un pochetto mi sono risentita. Perché è facile darci addosso a noi, è facilissimo, ed è pure facilissimo disquisire di come fare o non fare il mio lavoro senza mai porsi il problema di averlo mai provato, ma questo è un altro discorso e quindi tralascio perché è inutile mi sa spiegare meccanismi di quel tipo. Sono andata da mia madre, che non sta bene, e seppure lei ha dolori ovunque anche lei è andata a votare col sorriso.
Insomma ieri si è sorriso tanto a casa mia, anche il cane sorrideva più del solito.
Le preoccupazioni di domani e dei prossimi anni non sono mica svanite, la crisi mica scompare, i soldi mica si raddoppiano ma votare è sempre un bel momento, ci si sente liberi di dire come la si pensa.
Ci si sente liberi di sperare che, dai, sarà diverso.



domenica 24 febbraio 2013

sabato 16 febbraio 2013

Canto che mi è passata

Io non ho mai amato il karaoke, andare nei locali e cantare davanti alla gente, cantare le canzoni melodiche studiate a casa per mesi.
No, io amo cantare così, come mi sento.
Non sono brava, ho solo il senso di capire che quando una canzone mi piace io il senso del canto lo riconosco e la canto quella canzone, magari ridendo, magari biascicando in un orrendo inglese, ma ci provo, mi butto, me ne frego, canto e son contenta.
Mi butto e canto.

Io ho un amico con una casa che è il massimo dell'ospitalità perché ha la stanza per cantare, col seggiolino e due microfoni e nessuno fuori sente e tu fai quel che vuoi. Con gli amici da lui cantiamo un  sacco e fa bene. Si esce afoni ma leggeri.

Poi ho un amico con l'animo da crooner e col pianoforte e quando con lui ho cantato, e chissenefrega di accordi e parole sbagliate, è stato un gran cantare. Vorrei tornare a cantare con lui, ne sento il bisogno.

Poi ho un amico che suona la tromba a modo suo e con lui abbiamo fatto un sacco di cori, anche l'inno dell'Urss, che è diventato il canto amicale come "Nero nero", che ne ho scritto altrove, che sa di seppie in nero e di cheba (galera), concetti molto veneziani.
(Cercate bruttochef su google e ci arrivate al testo e al nesso con le seppie, e se ci arrivate a me fa piacere che sento il coro in lontananza e se volete ve lo registro, prima o poi, tanto "Nero nero" si canta sempre).

Ho cantato anche per amore, nell'ultimo anno tantissimo, blues e Dalla, Dalla e Pink Floyd, gli acuti della Motown che nessuno sentirà mai che fanno schifo all'arcobaleno, ma io ho cantato. Anche Anthony ho cantato, vergognandomi di metter la mia voce vicino a tanta meraviglia.

Canto quando sono stanca, canticchio sarebbe meglio dire.
Mi chiedono se ho paura a dire certe cose di me e io ho paura sempre, ho paura specie da quando ho capito che sono una fata ignorante e a me l'ignoranza ha impaurito sempre più della bruttezza.
Io ignoro, io non so dimenticare.
Vengo invece facilmente dimenticata.
Strano, stavolta avrei detto di no.
Meglio dire avevo sperato.

Ma io ignoro.
E quindi canto.
Canto che mi è passata.


venerdì 15 febbraio 2013

Quel momento


C'è  un momento mentre lavoro, di solito di pomeriggio,  quando smetto di telefonare e discutere e insomma mi ritrovo impegnata solo a raggruppare i pensieri e a scrivere e comincio a picchiettare sulla tastiera e poi mi accorgo che non sono solo io, che siamo tutti là a picchiettare, ognuno con il suo ritmo e modo di essere, (che c'è un modo di essere pure nel battere i tasti), ecco in quel momento lì io adoro davvero il mio lavoro.
E mi manca un sacco il rumore delle vecchie macchine da scrivere.
Perché non hanno inventato una tastiera che lo riproduce quel rumore lì, gioioso?

giovedì 14 febbraio 2013

Balla, ballerino

Oggi si balla con www.onebillionrising.org.
In tutto il mondo, anche a Venezia.
Per dire basta alla violenza contro le donne.
Oggi che è la festa dei cioccolatini, la celebrazione del rito collettivo dell'amore, che sa di plastica.
E non lo dico perché io sono tra quelli che non lo festeggiano.
L'evidenza c'è tutta dopo anni passati a dire che un giorno d'amore di plastica non è romanticismo.
Questa è solo l'ennesima festa creata per farci consumare, è la festa dei fioristi, dei cioccolatieri, delle profumerie, dei gioiellieri. Non è la festa di chi ama, degli amanti.
Amante, colui che ama, è un moto a dare.
Agire spesso complesso, faticoso, a volte anche solitario.

Nel giorno del rito di plastica come non scordare che abbiamo passato mesi e  mesi a dire che non esistono delitti passionali ma solo violenza, che l'uccidere per amore è una copertura all'incapacità di accettare un no, di mediare, di non sfogare sugli altri le proprie frustrazioni.
E allora è giusto ballare, oggi.


mercoledì 13 febbraio 2013

lunedì 11 febbraio 2013

Venga, venga

"Ma lei quante volte viene?".
Glielo ha ripetuto più volte e lei, la signorina mora, poi, a riflettori spenti all'amico giornalista ha spiegato che era "onorata e divertita" più che imbarazzata di quelle allusioni, così pesanti.
Davanti a centinaia di persone, anche suoi colleghi.
"Onorata e divertita", ha detto del siparietto.
Io per lei all'inizio mi sono preoccupata, ho temuto un imbarazzo dovuto al fatto che davanti a uno così, potente, ti viene paura a rispondere per le rime perché temi. Che ne so, hai paura di perdere il posto.
No, ritiro la preoccupazione.
Lei è onorata e divertita.
Non ho capito se è onorata che gli ha fatto firmare un contratto o se è perché ha sentito accanto quello là, tutto ringalluzzito, pompare e farsi i filmetti sul quante volte.
Come se una girasse con sul colletto il numerino. Una, sette, tre lunghe, una extra large, dieci small.
Lui ha dimostrato, pompato dal filmetto autoprodotto, con una ironia tutta ad uso e consumo del potere suo proprio, tutto mi alzo il pene e ti abbasso l'Imu, di non sapere che le donne, se vogliono, sanno fingere benissimo.

domenica 10 febbraio 2013

I pirla

Ci sono gesti, azioni, parole che hanno l'unico scopo di dare forma a quello che sentiamo. Cuore o cervello, non importa chi comanda. I due, talvolta, specie se li hai tenuti a bada con lo scudiscio per un bel pezzo, poi si ribellano e fanno quel che hanno voglia di fare.
Azioni, gesti, parole.
Che hanno la potenza, dentro.
Poi quando, dopo l'impeto, tutto si placa ci si sente dei pirla.
Un poco perché comunque non cambia nulla e poi perché aver fatto, detto, mostrato non rispetta il bon ton dei saggi. Quegli inumani che non fanno mai nulla di non sensato.

Il saggio dice: spegni, click, turn off.
E tu, invece,  sei quello che un giorno, ha sbottato e ha fatto Turn on.
Un pirla della migliore specie.
Tranquilli.

Non finisce il mondo.
Al massimo otterrete di vedere qualcuno con il sopracciglio sollevato per mostrare la sua disapprovazione. Qualcun altro piegherà il labbro per enfatizzare il fastidio.
Li notate? Li vedete? Il sopracciglio sollevato e il labbro piegato? Sì?

Adesso chiedetevi.
A noi pirla cosa cambia?

Ecco, vi siete risposti da soli.

Appunto, nulla.

venerdì 8 febbraio 2013

Il bello delle donne

Possono investire tutto sulla loro intelligenza e cultura, possono macinare libri tanto quanto i colpi sulla spianatoia lavorando il pane, possono saper usare tranquillamente il martello e la carezza.
Poi passano interminabili minuti a bearsi del colore nuovo sulle unghie.
(Sì, sto parlando di me medesima ma la prendevo larga, sperando in un poco di sostegno femminile :D)

Cronachette dall'ignoto

Sto pensando di comperare un bastone, non tanto per proteggermi, quanto per appoggiarmi, che il passo è sconnesso. Nel territorio ignoto mica sai dove poggi i piedi, non hai mappe né conoscenza delle condizioni del terreno. 
La bussola l'ho lasciata sul comodino e senza io non so bene dove sia il Nord. 
Per ora la considero una passeggiata defatigante, l'azione finalizzata al movimento produce una reazione, quella dell'andare. Mi pare già qualcosa.



lunedì 4 febbraio 2013

Buoni propositi

Un bel salto nell'ignoto è quello che mi serve.

Lo capirete solo dopo

Non credeteci, a quelli che vi dicono che sentirete le campane, le farfalle nello stomaco, il duodeno che borbotta, che vi verrà la faccia ebete.
E allora capirete.

Se è amore,  lo capirete solo dopo.
Quando non avrete niente e vi mancherà tutto, quando non potrete parlarne perché siete troppo signori, dentro, per anche solo proferire verbo.
Quando vi costringerete a dimenticare ogni secondo, ogni parola, ogni movimento rotatorio di lingua, ogni sfioramento di dita.
Quando il sentir parlare dell'amore altrui vi vedrà ondeggiare in preda ad un lieve fastidio, come di mancanza di aria.
Quando al racconto di storie che finiscono male non proverete alcun tipo di subdolo godimento ma andrete a sedervi sull'erba. Sulle panchine, no.
Quando la smetterete di star male e penserete che comunque voi, ce l'avete avuto, per un attimo o un secolo chissenefrega,  il grande culo.
Quando ci saranno altre mani che vi sfiorano, altri movimenti arzigogolati di lingue, e voi vi direte, con certezza: tutto qui?
Quando non smetterete di cercarle mani e lingue, perché voi capite.

domenica 3 febbraio 2013

Ah, signora mia

L'erotismo, signora mia.
Nell'era delle catalogazioni facili, da social network, del tutto visto, specie sul fronte porno, delle donne che camminano per strada e si sentono, cinquantenni single e senza figli, indicare come Milf (non parlo di me per questioni di età, stronsi) l'erotismo vive momenti davvero difficili.
Vedo ragazzi vestiti come tronisti senza trono e coroncina.
Vedo donne con le bocche a forma di canotto, senza alcuna volontà di allusione alla Marylin di Dalì. Vedo uomini dai toraci più lisci delle mie gambe a tre giorni dalla ceretta rivendicare la loro eterosessualità con una convinzione che mi fa sorridere.
Gli chiedi perché lo fanno e dicono che è perché vogliono essere puliti.
Non ti lavi, chiedo. Poi cambio discorso.
Vedo donne ammettere che due colpi a uno, antipatico e strafottente, che ha il cognome di una birra svampita e manco l'unghia incarnita del saperci fare di certi ceffi da galera, li darebbero volentieri. Poi, ho notato, sono quelle a cui quella birra svampita piace.
Ho sentito narrare di signore che accettano la depilazione totale (dicono sia una sofferenza, lo dicono le estetiste che la fanno, quindi ci credo) solo perché il marito lo ha chiesto come regalo di San Valentino.
Ti piaci così?, chiedo. Poi cambio discorso.
 Ho visto donne inorridire, come davanti ad un piatto di cacca, ascoltando la lettura di un passo di Tiziano Scarpa dedicato alle mestruazioni della compagna.
Non hai le mestruazioni, chiedo. Poi cambio discorso.
Sento uomini indicare termini inglesi a raffica per narrare serate di sesso, mentre io, che sono sensibile, mi immagino le compagne annoiate e impacciate, che cercano di capire che cacchio vogliono questi qui.
Non so, ho come l'impressione che stiamo andando sempre più verso un erotismo plastificato, inodore e insapore.
Noiosissimo come un piatto di pasta scotta.

sabato 2 febbraio 2013

Fastidio

La parola di queste ore è fastidio.
Mi torna in bocca, spesso, amara.
Le finte io le ammetto solo nel basket, l'unica competizione vera che conosco.
Nella vita, se posso evito. Io.
Fastidio.
Scaccio via la parola con un sorso d'acqua, poi con un bicchiere di vitamina e propoli.
Torna sù.
Ci ho mangiato e riso sopra.
L'ho addormentata e annegata nella doccia.
Niente, provo fastidio.


venerdì 1 febbraio 2013

Notti magiche

www.storpionimi.it diventa grande. Sba ha fatto un gran bel lavoro e io sono contenta per lui e per tutti.
La creatività passa anche di qui, dallo storpiare, plasmare come pongo, modificare le parole.
Significa amarle, le parole.
Di mio ho passato qualche notte insonne, in  passato, per dare una mano.
Notti magiche, passate per lo più a ridere.
E quindi non posso che ringraziarli i balenghi di storpionimi.it.

domenica 27 gennaio 2013

Lo spicchio di mela

Io le mele non le compero mai.
E' come con le uova, anche quelle non le compero mai.
Le uova proprio non fanno parte della mia dieta, le mangio una volta al mese, non mi ricordo mai che esistono le uova, servono solo per fare i dolci e io quelli non li faccio quasi mai, perché non sono brava.
Ma le mele.

Cotte le mangio solo se sono fredde, con tantissima cannella, e soprattutto se non sono state cucinate nella mia cucina, che quell'odore, di pomi cotti, mi ricorda l'asilo e la madre superiora che mi sopportò un solo giorno all'asilo, che diceva, la pinguina, che io non stavo mai ferma. Mai.
Non mi mandò via lei, mi tenne a casa mia mamma.
La scelta giusta.

Crude le mele le mangio, ma non le compero.
Perché le mangio solo quando sono seduta a tavola al fianco di mio padre.
Lui, a fine pasto, mangia sempre una mela. Meglio se verde o gialla.
E fin da piccola, lui fa così: taglia uno spicchio di mela, toglie la buccia e me lo mette davanti, sulla tovaglia.
E io mangio la mela, buonissima oh la mela.
Mangio la mela  solo se a pulirla è mio padre.
Gliel'ho fatto notare, qualche giorno fa, questo fatto che io le mele, solo se me le porge lui, le mangio.
Lui ha borbottato qualcosa, che è un omone sempre orso, lui e non sbaciucchia mai.
Ha borbottato e poi ha parlato d'altro. Di politica, credo.
Oggi a pranzo mi ha messo davanti lo spicchio e quando l'ho guardato mi ha fatto l'occhiolino.
Vi assicuro, le mele sono buonissime.

giovedì 24 gennaio 2013

Piccole ammissioni

Un amico mi chiede cosa mi attira in un uomo.

Risposta: il suo modo di ascoltarmi, il suo sguardo stupito sul mondo, l'intelligenza e il culo.
Sentenza: non un tipo facile da trovare.

mercoledì 23 gennaio 2013

Segreti

Ho fatto una cosa di cui sentivo proprio il bisogno.
Una cosa che non so assolutamente che cosa può aver prodotto. Anzi, credo non produrrà nulla. Ma l'ho fatta, perché ne sentivo il bisogno.
Avevo bisogno di una certezza lunga pochi secondi.

martedì 22 gennaio 2013

Risvegli

Mi sono alzata presto, prima del solito.
Forse è questo il motivo per cui continuo a ripetermi che alla fine tutta questa mediocrità mi farà malissimo.
Non ricordo cosa ho sognato, ma se la parola del mio risveglio è mediocrità, mi sa che, in realtà, non ho chiuso occhio.

domenica 20 gennaio 2013

La semplicità


Dialogo tra donna e uomo


D - Si dice che gli uomini abbiano una maggiore facilità nel dimenticare
U - Non so, per me è stato "facile" solo quando non mi interessava più
D - Ecco

sabato 19 gennaio 2013

Qui

Più che un hotel, questa è una vecchia pensione, di quelle semplici, con poche stanze ma che odorano di pulito. Quindi, pensavo, visto che questa è una vecchia pensione, come è un poco il mio modo di essere, se qualcuno vuole una stanza e ci vuole scrivere dentro o sfogarsi o urlare o stare in silenzio, me lo dica...

V

(grazie a Jelena e Baruz)

giovedì 17 gennaio 2013

Che pizza

Sarà che ieri sera faceva il freddo mondo e il vento era un mondo gelido e solo al caldo della pizzeria si stava bene, a ridere e a pensare al domani, che domani?, boh ma pensiamoci a questo domani e si progettava un viaggetto, lì al caldo e al speziato.
Sarà che quando sono entrata mi han detto che ho i capelli belli, da comunista, ma belli proprio.
Sarà che poi sotto la neve, poca e meglio così che è poca, faceva di nuovo voglia di piumone e cuccia, fatto è che sono finita a sognare il mio pizzaiolo di fiducia che mi impastava come solo la madre comprende.
Capitano sogni così che poi ci ripensi e ridi.
Ma non lo dico né a lui, il pizzaiolo, che tanto qui non legge, né alla mia di madre che tanto sa che sono strana.
Poi stamattina mi è arrivato un sms della Lindalov.

mercoledì 16 gennaio 2013

Bel posto

E niente, io vivo proprio in un bel posto. Sono andata al negozio di una nota azienda di telefonia a cambiare il modem. Solo che ci sono andata con una settimana di ritardo e quindi la pratica me la avevano chiusa senza dirmi niente e insomma ho chiamato il call center dal negozio e mentre aspettavo che l'operatore mi riaprisse la pratica, lui, l'operatore prima, stupito dal mio nome, mi ha chiesto se ero italiana. Io gli ho risposto si, sono italiana, ma gli ho anche detto che anche se ero straniera non cambiava niente.
 Gliel'ho detto così, per giocare , che l'operatore era un tipo simpatico. Uno che gli dici appena comincia la conversazione che lo senti basso, il volume, e ti risponde che lui in effetti, non è alto, insomma, e' simpatico.
Lui l'operatore, dopo, mentre si aspettava che il computer elaborasse la pratica, mi ha detto che è calabrese e mi ha chiesto, in qualità di veneta, se ero razzista. Io, stupita, e infastidita, gli ho fatto notare che Venezia non è mica il Veneto e anche se lui ha parenti trevigiani che non amano molto i meridionali, lo so perché me lo ha raccontato lui, beh ecco io razzista, proprio no, ma no!
E l'operatore ridacchiava nell'attesa e io ridacchiavo che nel frattempo al bancone del negozio, con l'orecchio occupato ad aspettare che la pratica fosse evasa, ho scoperto prima che l'addetto di sinistra era un mio compagno di liceo e poi che la signorina addetta alla mia pratica, leggendo il mio nome sul foglio, si è messa a ridere e mi ha detto che lei mi conosce, che commentiamo la stessa amica su Facebook. E si rideva tutti, operatore in ascolto compreso.

Questo post

In realtà vorrei dire altre cose. Magari vorrei che le parole, se sapessi dirle, producessero una azione.
Ma non ci sarà azione, e le parole me le hanno fatte sparire da sotto il naso, come se non avessero significato e, peggio, come se non le avessi dette, e la reazione sarebbe un fastidio, un brufolo sulla punta del naso che non puoi nascondere e produce solo un misto di vergogna e pus che esce, io non dico quello che vorrei dire, e scrivo di  altro, scrivo di niente, perché scrivere di niente è dare rispetto a parole che non escono, ad azioni che non scattano, è un modo semplice di dire qualcosa di profondo, di definitivo, di profondamente privato come solo uno sbottante "va-in-mona-va" sa essere.

venerdì 11 gennaio 2013

A lui, no, non glielo dico

"quel che conta ce lo abbiamo dentro alle mutande, nel frigo e nel conto in banca. Il resto fanculo".
Mi ha detto proprio così un amico l'altro giorno.
Io, in verità, gli ho risposto dopo un attimo che ero andata a vedere cosa avevo dentro le mutande. 
Lui ci ha riso sopra, ha detto che non voleva sapere.
Io non gli ho detto.
Poi non ci ho pensato più, ho fatto le solite cose, quelle cose che sono un dovere e non ti senti per forza parte di un sesso, che non è necessario, a volte.
Poi non so perché il discorso mi è tornato in mente, ah sì, ho sentito la Gianna che cantava l'America e a me quella è l'unica canzone della Gianna che mi piace, che la cantavo da ragazzina e mica avevo capito cosa voleva dire, che insomma lei si stava masturbando pensando a un lui, e conduceva il suo gioco per la sua felicità. Bella cosa, questa. 
Bella cosa il cantare così la propria felicità personale e in questo caso pure condivisa. 

Mi sa che devo comporre una canzone anche io, la dedico  alla Patagonia. 


giovedì 10 gennaio 2013

Il geko disperso e i misteri dell'idraulica

Che bello che è vivere da soli, si è liberi. Si può decidere quando cenare e come, cioè se voglio mangio seduta a tavola con la tovaglia e pure la candela accesa che fa chic, se voglio mangio col tavolino seduta sul divano, in mutande e ciabatte.
Che bello che è vivere da soli, che mi leggo i libri e ascolto la musica che voglio e non sono obbligata a fare conversazione se non ho voglia.
Che bello che è vivere da soli e improvvisare una cena per gli amici alle nove e mezza di sera, con quel che c'è in frigo, e con la musica che mi pare come sottofondo.
Che bello che è vivere da soli e arrangiarsi su tutto.
Che bello che è vivere da soli e  svegliarsi senza sveglia con Arturo sotto il collo.


Però, ecco..., a volte non è bello, ci sono misteri difficili da svelare, come quando scopri all'una di notte che hai il wc intasato e te sei stata fuori casa tutto giorno e se tiri  l'acqua,  quella tracima fuori e stai lì davanti ai misteri dell'idraulica a chiederti dove cavolo è finito il geko blu. Cioè stava sulla piastrella e adesso dove se ne è andato?
Dove può andare un geko di plastica?

sabato 5 gennaio 2013

Tristezze moderne

E niente a me prende la tristezza quando mi tocca leggere o sentire giovani colleghi, convinti di essere dei sottovalutati, perché nessuno gli concede il ruolo che gli compete, quello di editorialisti, dire che le tutele sono privilegi. Punto e basta.
Anni di contrattazioni, di scioperi, di manifestazioni liquidati con l'epiteto di privilegi.
Mi prende una tristezza sottile, penso che a Marchionne e compagnia bella basterebbe sponsorizzare questi come prossimi sindacalisti per portare alla morte per cancrena, in poche settimane, delle organizzazioni sindacali.
Che, diciamocelo, hanno anche sbagliato tanto, hanno pure tutelato chi non faceva una beata minchia,  ma sono una garanzia di aiuto per quanti le tutele, ops i privilegi, manco sanno cosa sono visto che lavorano non dico a progetto ma a chiamata giornaliera.
Oggi lavori, domani boh.

Poi un pochino mi sento di capire lo sguardo desolato di mio padre, davanti alle notizie dei tg, lui che si è fatto un mese di sciopero per avere la mensa in fabbrica, quando sono nata io.
Lui che lavorava, come tanti, in un posto dove la parola tutela significava tornare a casa vivo la sera, principalmente.
Poi mi viene in mente che le fabbriche le stanno chiudendo tutte, almeno dalle parti mie, almeno quelle grosse con tanti dipendenti. E forse facendo sparire quella che chiamavamo "classe operaia", abbiamo adesso un paese di colletti, non bianchi, direi grigetti, che ritengono così poco chic e poco moderno avere delle tutele, quando vivi nella giungla.
O no?

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