Fatacarabina

Fatacarabina

martedì 30 giugno 2009

Un sassolino

Io lo volevo dire che non me l'ha prescritto il dottore di aprire un blog e poi anche un altro. Lui non me l'ha mica detto, se ne è stato zitto. Ho fatto io tutto da sola, così come mi viene. Che io sono una che si butta, prova, magari poi si stufa e passa ad altro.
Ecco, passare ad altro.
Capita, succede spesso ad una che risponde al mio nome e cognome. Quando mi accorgo che la salita è ripida e non ho voglia di sudare, io scendo giù e faccio altro. Stavolta non voglio che succeda, non ho voglia che 'sta sensazione di inadeguatezza torni di colpo. Avete presente quando si saltava a piè pari dentro le pozzanghere, dopo la pioggia, e si facevano gli spruzzi, gli sgiansi dalle mie parti. Ecco l'inadeguatezza quando arriva, mica ti avvisa, salta a piè pari dentro la mia pozzanghera e molla sgiansi e io sto là a vedere poi come gli spruzzi si sistemano. Io non ho voglia che arrivi, mi metto l'impermeabile, e continuo.
Tanto non me l'ha prescritto il dottore. Così come non ho ricette mediche contro gli amici, quelli che io considero tali, per cui io di fatto è come se non esistessi. Non ho ricette neanche per le volte che desidero qualcuno, anche se non dovrei. E non ho antidoti all'inadeguatezza. Ecco, magari prima che lei arrivi lo tiro io il sassetto nella pozzanghera, ci si sporca uguale ma almeno lei non la vince sempre, 'sta cacchio di gara agli spruzzi.
Buonanotte

domenica 28 giugno 2009

Senza età - aggiornamento

Un piccolo aggiornamento, tanto per chiarirsi.
Le regolette per evitare che la mia vita non si trasformi in una merdata colossale, sono lì, belle scritte.
Poi è ovvio, che lo scivolone è sempre dietro l'angolo, eh...
Ma se eviti di girare con le pattine, magari, penso io, mica sempre cadi. O no?

Senza età

Inizia il conto alla rovescia, poi dopo la sbornia, ho deciso, non esisteranno più candeline su cui soffiare. Festeggerò al limite ogni vent'anni, così per far il conto soprattutto di quanti rimarranno al mio fianco a sopportarmi.
Non avere età, credo, sarà una bellissima sensazione. E così mentre penso alla prossima futura libertà, faccio il conto del lavoro di quest'anno ma senza metter gradi di valore a quel che mi è capitato perché visto che le cose le ho vissute sulla mia pelle, l'importanza è sottintesa.

Ho imparato a lasciar perdere, a non insistere continuamente nel tentativo di avere ragione.
Ho imparato che le cose e le persone se ne vanno e io non devo far niente per farle restare.
Ho imparato che l'inadeguatezza non è una condizione necessaria del mio essere.
Ho imparato che io comunico scrivendo e poco importa se non diventerò una famosa scrittrice: io continuerò a scrivere, fosse anche solo per me.
Ho imparato che ho dentro una infantilità che mi porta a volermi sempre circondare delle persone che mi piacciono ma devo metter nel conto che gli altri non vogliano far lo stesso con me.
Ho imparato che esser spontanea e dire tutto non serve a farsi capire.
Ho imparato che ci sono solitudini che non riempi neanche con un bastimento di abbracci e sorrisi.
Ho imparato che ci sono solitudini che ti scaldano invece come un caminetto acceso di notte, mentre fuori c'è la tormenta.
Ho imparato che le cose accadono e basta.
Ho imparato che una raffica di no regalano una bella sensazione di libertà.
Ho imparato che sono, dentro, una donna diversa da come appaio fuori.
Ho imparato che se io amo, amo e basta.
Ho imparato che sarò sempre una ex ansiosa, magari un giorno divento anche una ex tabagista.
Ho imparato che sorridersi al mattino non è da deficienti, ma materia prima per sani.
Ho imparato che mostrarsi deboli, e quindi veri, non annulla i propri personali superpoteri ( e lasciatemi qualche illusione... lo vedo che storcete il naso, ma chissene...)
Ho imparato che gli amici o ci sono o non ci sono e non serve metterli sul piedistallo per vederli meglio.
Ho imparato che ho un sacco di cose da imparare.

sabato 27 giugno 2009

Ma quanti nomi...

Piccola collezione dei nomignoli che il mio ecosistema, amicale e non, mi appioppa.

Ieri sera: adorabile deficiente.
La proprietaria del termine è la stessa che mi chiama normalmente Gigiona, quando non si incacchia con me. Lei comunque è la Gigia.

stamattina: pagliaccia. Apprezzato in quanto oggi la sottoscritta ha avuto voglia di starsene con un naso di gomma rossa. Dimenticare che a dirlo è stato un bel fustacchione.

Tempo illimitato:
si varia dal cialtrona alla vecchia con la secchia. Negli ultimi sei mesi, è molto utilizzato il Pippi.

A casa dei genitori: Beh là sono Mimi. Sono riusciti ad accorciarmi anche un nome che ha solo 5 lettere e quindi andrebbe bene così di suo.

Sul luogo di lavoro: Un tempo ero "capasanta", poi sono diventata "la madre di tutti i moduli". Simpatico, ma troppo lungo.
Per un periodo sono stata battezzata anche "Ior", ma lasciamo perdere il perché.

Sul parquet: Variavo dal "Mitra" alla "ca..o".

Le eredità di sempre: Quelle del passato e delle mie tante gaffe.
"Mitra", retaggio di liceo e non solo. Diciamo che era perché sparavo una marea di cazzate.
E poi l'urlo del "chi è Mitia", da pronunciare con la bocca chiusa, tentando un accento soviet, per ricordare che sono sopravvissuta ad una sventagliata di kalashnikov di una signora gelosa.

Risvegli

Piove fuori, piove a dirotto. E io alla fine torno ad acciambellarmi a letto. Ho ancora un'ora di tempo prima di andar al lavoro. Avrei mille cose da fare ma con 'sta pioggia tropicale, che bussa alle finestre, sento che mi serve ancora un pochino di siesta. Del resto, chi l'ha detto che non si può posticipare un risveglio. Tanto fuori c'è tanta di quella muffa...

venerdì 26 giugno 2009

Ricette

Quando le ciambelle non riescono non solo ad aver il buco ma ad aver la parvenza di succulente ciambelle, un pochino male ci rimango. Ripensando alla gioia del cucinare e di vederle uscir belle calde dal forno, pronte per una sbobba solenne, di quelle degne di nota.
Certo mi rimetterò a cucinare, perché è nella mia natura, ma mi sa che si cambia ricetta.

martedì 23 giugno 2009

Le cose di cui ho paura

Mi pare di aver già detto di aver paura del microonde, quella cosa demoniaca che tutti hanno in casa. Faccio finta che sia perché preferisco una cucina di tipo tradizionale, in realtà sono rimasta terrorizzata. Mi era stato regalato e siccome io non leggo mai, giuro mai, le istruzioni, ho pensato fosse un forno normale e ci ho infilato dentro la vaschetta di alluminio con le lasagne della mamma, avanzate dal giorno prima, e ho assistito ad una tempesta con fulmini dentro la mia cucina. Da allora, ho paura dei fulmini e pure dei forni a microonde. Ho paura anche della pentola a pressione, come ho già detto, causa i fagioli all'uccelletto stampati sul soffitto, e pure delle montagne russe dopo che ho perso le scarpe in un giro a Gardaland. Non statemi a chiedere come mai, ma io ho pensato che la morte fosse venuta a prendermi. Perché quando trapassi, dicono, perdi le scarpe.
Se uno per scherzare mi prende per il collo, caccio un urlo sopra i 70 decibel che se fossi a Milano finirei multata.
E' colpa dell'uomo nero che mi viene a trovare ogni tanto, quando vuole lui e sempre senza invito, nei miei sogni.
E ho paura di chi si mette le mani negli occhi. Se vedo qualcuno che si mette le lenti a contatto, vomito. Colpa, dice il mio immaginario, di un occhio tagliato visto in un film (forse che fosse tratto da Bunuel - non ricordo bene).
C'ho paura, pure, degli assorbenti intimi ultimamente. Li uso ma mi è venuto il trauma da quando una amica mi ha raccontato della figuraccia di gioventù: quando l'amico tonto mentre eran stesi sul bagnasciuga volle a tutti i costi strappare il filetto che spuntava dagli slip, pensando fosse un difetto del tessuto.

Ecco, siccome io sono piena di amici tonti, meglio prevenire

Manca

Il libretto della mia prima liceo era pieno delle firme di mia madre, solo che non le aveva fatte lei. No, lei si alzava alle 5 del mattino per andar a lavorare e così mi aveva lasciato due foglietti delle giustificazioni firmati.
Metti che avessi bisogno per un bus saltato o un ritardo, di un permesso per entrare più tardi, cosa facevo se a casa con me a colazione non c'era mai nessuno?
Solo che io ci avevo preso gusto e le due firme sono diventate l'intera sezione giustificazioni, con foglietti firmati di mio pugno con la perfetta copia della calligrafia di mammà. L'idea mi venne credo guardando i cartoni animati di Lupin III.
E così ogni volta che facevo manca, e finivo al parco, invece che in classe, mi facevo poi la giustificazione autoprodotta. A fregarmi, fu non la copia perfetta della firma, che so riprodurre anche oggi, ma la fantasia che ci mettevo nel spiegare una assenza o un ritardo.
Come quando scrissi che avevo fatto tardi perché ero rimasta estasiata davanti al poster di Simon Le Bon a petto nudo esposto in edicola.
Quando mia madre lesse la sua presunta giustificazione mi chiese: "E 'sto mona chi xeo?".

domenica 21 giugno 2009

Golosesso




Ecco, questa domenica è stata la giornata giusta per tirar fuori uno dei miei peggiori difetti. Sarà che sono andata a dormire all'alba e mi sono svegliata alle nove e poi ho fatto le mie cose, e son andata a pranzo dai miei, con 'sta voglia di abbiocco e quando è arrivato, c'ha avuto un effetto cosmico, come di buco nero in testa.
Quando mi son svegliata, avevo fame, quella vera, non quella da stress, nervoso, rabbia. No, era fame pura e vera e ho aperto il frigo e c'erano ciliegie, frutta, ma mica avevo voglia di loro.
No, io ho puntato diritta al vaso, era mezzo vuoto e l'ho messo sul tavolo e ho preso il pane e ho fatto merendin con una scarpetta di pane e pesto.
E' che io sono golosa, capite, e visto che la sindrome della fotomodella per fortuna non ce l'ho, mi manca pure la scusa, la giustificazione, per frenarmi. Sono, insomma, condannata ad una vita da golosa.
Son problemi, seri, questi. Specie se di cose di cui esser golose, ne hai tantissime.

Mentre, poi, preparavo il ricarico di pesto alla genovese, con il basilico bello dell'orto storto, mi sono detta: Ocio che ti diventi 'na drogada.
E sono andata a vedere sulle tabelle del ministero se il pesto alla genovese è droga leggera o pesante. Che, l'informazione è tutto e se sai, impari a tutelarti.
Non ho trovato nulla, meglio. Sarà che la sostanza non l'han ancora ben classificata. Che culo, mi son detta, pulendo col pane gli ultimi rimasugli. I golosi mica amano le restrizioni.

PS: Nella foto sopra, il ricarico eseguito nel laboratorio privato.

giovedì 18 giugno 2009

L'appuntamento

Tutto è pronto, ci sono le candele, il filetto da passar sulla griglia, l'insalatina dell'orto, l'acqua fresca, i ghiaccioli sono in frigo. Stasera ho un appuntamento. Con me.

Ps: quella mi ha detto di portar il vino. Che prendo?

Tutti i baci del mondo

su Lestoriedimitia

martedì 16 giugno 2009

Epacentrista

Ok che faccio sogni strani spesso, ma sognare di suonare la marcia di Radetsky su un ombelico è stato assolutamente divertente.
C'era pure il pubblico del concerto di Capodanno, in fondo, a batter le mani a tempo.

Peccato, doversi svegliare.

domenica 14 giugno 2009

Dialogo sul 17

"A quanti figli sei arrivato, Samir?"
"Aspetto l'arrivo del quarto".
"La madre? E' la stessa del terzo?"
"No, sai io voglio avere 17 figli e lo dico a tutte quel che voglio e loro mi rispondono che massimo due vogliono farne, quindi, vedi sono costretto a cercarmi altre donne".
"Ah, sei costretto?"
"Certo, non ce n'è una che voglia darmi da sola 17 figli".
"E scusami, perché proprio 17, è un numero che ha un significato per il Corano?"
"No, è solo il numero che mi piace".

sabato 13 giugno 2009

Metteteci la voce

Lo so, che se scrivi qualcosa come quella che sto scrivendo, dicono che non hai umiltà e visto che l'umiltà è tutto...passi per quella che si autopromuove. Ma io questa cosa la voglio dire, e non mi importa se passo poi per presuntuosa o cafona, che io queste cose so che non sono, ma agli altri certo non posso impedire di pensarlo...
comunque preamboli e postamboli a parte,
quello che volevo dire è che da quando è nato nella mia testa il pensiero di Collettivovoci e poi l'ho messo in pratica, io sono contenta. Perché adesso ci sono lì tante belle voci e tante belle storie, che messe assieme, regalano un sorriso. Ed era quello che volevo, uno spazio di sorrisi, senza invidie e senza gare.
E scusatemi, ma per me questo NON è poco.

Quindi, non dico grazie ma abbraccio direttamente tutti quelli che han partecipato e aspetto gli altri, i titubanti, a braccia aperte.

Metteteci la voce, insomma...

venerdì 12 giugno 2009

Il divano

Ve l'ho già detto che sono disordinata? Io cerco un ordine, una regola piccola che mi faccia ritrovare quel che cerco. Invece, un ordine non c'è. Non c'è nella mia casa come non c'è sulla mia scrivania. Per l'ufficio, una scusa per far disordine c'è alla fine, lo devo ammettere. Accumulo pile di documenti, libri, rapporti, indagini, e li accastello uno sopra l'altro. Ufficialmente perché, dico, mi serviranno a breve. In realtà perché cerco di costruirmi una barriera attorno, io che lavoro in un open space e non ce la faccio a non avere un minimo di privacy, attorno a me. Andrebbe bene anche lo sgabuzzino dello scope, ma quello è occupato dalle scope, e la mia scrivania deve stare in mezzo alle altre. E così costruisco una muraglia di carta, attorno a me. E infastidisco gli altri per questo motivo. Due mesi fa un collega con una azione di guerriglia, ha aperto una breccia nel mio muro di carta. "Così vedi il sole!", mi ha detto. Un altro vuole denunciarmi all'Asl, troppa carta, troppa polvere dice. A casa alla fine è uguale. Pile di libri che non so più dove mettere, pile di carte e scartoffie, le lettere che dovrò prima o poi aprire. E' che io sono disordinata, spesso non trovo quel che mi serve, ma nel mio disordine ci sto bene, mi pare di aver la cuccia calda, con tutte queste carte attorno. Butto via solo le pubblicità, il resto finisce nelle scatole del butterò. Un giorno, chissà quando, lo farò. Libererò il salotto dalla carta e ci sarà il vuoto, che oggi invece è pieno. Quel che serve lo trovo sempre, magari ci metto una giornata intera ma alla fine viene fuori. E ogni ricerca, è un momento di relax tra cartoline, biglietti, lettere della banca da aprire, multe da pagare, appunti vari. Bigliettini con numeri di cellulare, che non ricordo più di chi sono. Cuoricini di carta rossa e altri macchiati di lacrime. C'è di tutto nel mio disordine, un caos che so che a qualcuno può dar fastidio, se lo vede. Nel salotto c'è solo uno spazio davvero libero, il mio divano di pelle. Da uomo. E' l'uomo di casa, lui, il mio divano vecchio con l'anima di legno massiccio, di quelli che c'erano nelle case negli anni Sessanta. Lì le carte non possono arrivare, perché lì ci vado io. E chi voglio io.
Non è morbido, anche se è di pelle, ma mi rimette a posto la schiena. Me la fa tenere diritta tanto è duro. Ecco, nel mio casino, un piccolissimo rigore, c'è. E quando mi ci acciambello sopra, penso, soddisfatta che anche io qualcosa a posto ce l'ho per davvero. Il divano.

mercoledì 10 giugno 2009

Non sparate sul cronista

Posso piangere su un apostrofo mancato ma è capitato anche a me di cadere nel refuso, quello che non vedi neanche se rileggi ottanta volte.
E così un anno fa la manifestazione verde con poca gente in piazza è diventato un appuntamento "senza bagno di fallo".
Un chiaro attentato, involontario, al celodurismo.
E che faceva il paio con quello di un collega che raccontò, anni fa, l'allarme "per una figa tossica" nella zona industriale.

Se fanno una legge che punisce severamente i refusi, non posso neanche appellarmi al preterintenzionale. :)

martedì 9 giugno 2009

Come mosche bianche

Eravamo tutti a seguire i risultati elettorali, il ballottaggio tra i candidati del centrosinistra e di LegaPdlciviche era nell'aria.

"Ciao, compagno!"
Mi giro per vedere chi stan salutando con un " Ciao, compagno". Sono al comitato elettorale leghista, ci sono solo leghisti, uomini e donne. E sentire quel saluto è strano, per gente che non ama parlar di comunisti.
Poi lo vedo, l'oggetto del saluto.
E' un signore grosso, con i bermuda e la barba , gli occhi azzurri e un pezzo di sigaro in bocca. In testa, un cappello dei Modena city Ramblers. Siamo nella campagna veneziana e di botto, guardandolo, mi par di esser a l'Havana.
Io lo guardo, lui mi guarda.
"Bel cappello", gli dico. Lui ferma il passo e mi fissa.
"Che vuol dire?", mi dice con tono infastidito.
"Vuol dire che ha un bel cappello, quello dei Modena".
"E allora?", mi risponde lui. Capisco in un nanosecondo che pensa ad uno sfottò.
"No, a me i Modena piacciono, ho tutti i loro dischi, ostia!".
E lui, il compagno, sorride e mi prende il braccio e mi tira verso di lui e cerca di abbracciarmi, sorridendo.
"Non avevo capito, compagna, vien qua che te baso".
L'affetto, l'affetto, salva nei momenti di solitudine.

sabato 6 giugno 2009

La partigiana



Dall'Ansa di oggi: Un dialogo tra il presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano e la partigiana Franca Trentin ha
suggellato, davanti a "La Partigiana", per la cerimonia di
riapertura del monumento oggi sulla riva dei Giardini della
Biennale, la visita del presidente alla 53/a Esposizione
internazionale l'Arte di Venezia. "Saluto in Franca Trentin - ha detto Napolitano - tutte le combattenti per la liberta' raccolte qui oggi". La liberta' su
cui poggiano le nostre istituzioni, ha detto il presidente
ricordando il recente 25 aprile "celebrato con ampia
condivisione", deriva da "lunghi mesi di lotta e liberazione"
dei quali "furono protagoniste le donne".

Voglio mandarlo da qui un bacio alle nonne partigiane, molte hanno oggi almeno 90 anni. A Venezia oggi non è stata solo la giornata dello sposalizio del governatore veneto con testimone B. e del voto per le elezioni europee e provinciali.
E' il giorno della restituzione alla città del monumento alla partigiana di Murer e Carlo Scarpa, restaurato per l'apertura della Biennale e che torna ai Giardini di Castello. Un monumento che ricorda le donne che hanno combattuto nella Resistenza per liberarci dall'incubo nazifascista. L'ho visto da piccola la prima volta, con mio padre e mia madre, dopo una manifestazione. Avrò avuto sei anni, credo.
E lì mi sono innamorata delle sculture di Augusto Murer e poi dell'arte e lì ho sentito raccontare la storia di mio nonno, per l'ennesima volta. Non ho mai scritto nulla su mia nonna, invece, che partigiana non è stata.

Elisa è stata la moglie di un partigiano, morto all'indomani della Liberazione. Ha tirato sù da sola i figli, in un paesetto, dove l'unico lavoro decente era raccogliere vermi per la pesca, o andare a fare il muratore.
Per fame aveva dato ad uno dei figli il nome del Duce, ci aveva guadagnato 10 lire.
Ma non lo chiamò mai con quel nome, quel figlio, che tutti chiamano Carlo e che poi è cresciuto da orfano al convitto Biancotto, finanziato dall'Anpi.
Elisa non si è mai lamentata, ha insegnato a nuotare ai figli gettandoli di peso in laguna e aiutandoli ad arrivare a riva con un palo.
Non aveva soldi né cultura, ma sorrideva ai problemi della vita, mi raccontano, e non si è mai lamentata. Tanto che nessuno si era accorto che dalla morte di mio nonno, aveva cominciato ad aver problemi di cuore. Lo hanno capito solo quando è morta.

Ecco dopo giorni di culi e papini, di erezioni ed elezioni, trovo assolutamente consolatorio pensare che sono esistite anche donne di questa pasta.



Ps: quel figlio di nome Benito è mio padre. Non chiamatelo mai con quel nome, rischiate la vita.

Cronici

Ci pensavo stanotte, complice l'esofago fiammeggiante dopo il ristorante indiano.

Anni fa mi bastava scrutare la conformazione cranica di un uomo per capire se mi piaceva.
Adesso, anni dopo, ci devo parlare e non poco, per farmi solo una idea di massima.

Insomma, anche gli entusiasti cronici invecchiano.

venerdì 5 giugno 2009

Consapevolezze

"Perché sei single?".
"Eran furbi e han capito il pericolo".
"Pericolo di che?"
"Di una monumentale rottura di palle su due gambe".

giovedì 4 giugno 2009

Dark

Secondo me capita anche a voi, mica solo a me. Direi quasi che spero capiti pure a voi, e non soltanto a me, di vivere il "giorno nero". Il grande match tra me e me ieri si è risolto subito, ko tecnico. Sono andata a terra subito per colpa di un gancio destro e ho impiegato il resto della giornata a cercare di rialzarmi da terra, rintronata e dolorante.
Oggi giro con un sacchetto di ghiaccio sulla faccia, spero tanto che il pugno di quella stronza non lasci segni evidenti sul viso.
Che la faccia mi serve.
E devo ricordarmi di aumentare le difese a destra.

Il collezionista

su
Le storie di Mitia

martedì 2 giugno 2009

1954




Sarà anche vecchia, trita e ritrita, ma io lo trovo adorabile.
(spero non servano traduzioni)

Caratteristiche

Rispetto: evidentemente non so dimostrare che lo provo.
Entusiasmo: potrei aprire una bancarella al mercato e venderlo ad un euro al chilo. Molto economico, venghino signori.
Capacità: rendersi conto dei propri limiti è cosa buona e giusta.
Umiltà: ho aperto due blog, ho ampiamente dimostrato di esserne priva.
Umanità: c'è voluta una seduta choc per rendersi conto che non sono una eroina dei fumetti, su cui tutto rimbalza.
Umorismo: inciampo spesso.
Conoscenza della lingua italiana: lancio le virgole a pioggia. Do cojo cojo.
Attendibilità: vicina allo zero.
Capacità di esser amati: pari all'ardore che si prova davanti ad un pesce rosso in una boccia di vetro.
Capacità di amare: pari all'ardore che si prova davanti ad un pesce rosso in una boccia di vetro.
Erotismo: vedasi boccia di vetro.
Personaggio fantasioso con cui farei una corsa ad ostacoli: il barba merda.
Ottimismo: sono amica di Gianni

lunedì 1 giugno 2009

Io gioco, no, tu no

Ieri sera, dopo il lavoro, ho raggiunto la combriccola, e la Gigia ad un certo punto mi ha detto. "Gigiona, ma se tu fossi un uomo, come saresti?". Un gioco, interessante. E allora via a pensare che uomo sarei. Mi sono immaginata in versione maschile, lo stesso ha fatto lei, la Gigia. E poi ci siamo rivolte al resto della combriccola, eran tutti maschi. "Ma voi se foste donne, come sareste? Come vi immaginereste di essere?". E giù uno sciame di elucubrazioni. No, ci han detto, ma come si fa ad immaginarsi donne, sarebbe solo la proiezione mentale di quello che pensiamo noi. "Chi direbbe che sarebbe una che batte il marciapiede, ovvio direbbe altro _ ha attaccato Polock _ io come sarei? Una tranquilla, madre di 4, 5 figli". Tutto qua, sì tutto qua. Io e la Gigia c'eravamo pure immaginate il tipo di lavoro, la condizione sociale, la residenza, la scelta di andarsene o meno lontano, il numero di figli, e poco ci mancava che ci vedevamo anche il numero di scarpe che portavamo, e il tipo di scarpe. Loro no, han dovuto ammettere che immaginarsi donna per loro, era difficile, strano. Un gioco complicato, insomma.

Vi lascio trarre le conclusioni?

Ps: per come mi sono immaginata io, sarei il tipico uomo di cui potrei innamorarmi alla follia, ma irrimediabilmente bastard inside. Te pareva?
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