Fatacarabina

Fatacarabina

lunedì 8 dicembre 2008

Il letto di Paola

Ti lascio andar via, ma vorrei aver il fiato sufficiente per dirti di restare. Invece il fiato mica arriva in gola a formar le parole e allora ti saluto con un sorriso, il migliore che possa regalarti. Così quando sarai lontano e ripenserai a stanotte, non avrai dolori e tensioni, se non quelle del desiderio che non fa rima con dispiacere. Tu chiudi la porta e io resto sola, in questo letto. Le lenzuola, i cuscini, il copri-piumone sono impregnati del nostro odore, che si è mescolato in una fragranza forte, di terra e fiori. Mi sa che l’hai sentita pure tu, fortissima, quella fragranza. I tuoi capelli, le mani, il petto, la bocca sono ancora impregnati del nostro odore. Certamente lo stai sentendo anche tu, come me, in questo momento.
Nel letto resta a farmi compagnia il tuo calore, che si è concentrato come una sagoma termica nello spazio dove prima stavi tu, e io mi spingo a cercarvi il giusto tepore del riposo. Come un gatto mi ci raggomitolo attorno, e questa porzione di letto, con dentro il tuo odore e la tua temperatura, cerco di trattenerla con me il più possibile. Vorrei arrivare a mattina, superare la soglia dell’alba, e sentirli ancora addosso. E’ una giusta chimica, quella che si è formata in questo letto. Ma non c’è quiete, per ora. Stendo le gambe, sono irrigidite e scosse da continue , piccole, inesorabili scosse elettriche. Le sfioro, sperando di calmarle, ma loro sono come elettrificate. Non le controlla il mio cervello. Devono placarsi da sole, quando sarà il ventre a dire basta. E allora chiudo gli occhi. L’odore, il calore, il ballo delle gambe, tutto, mi tiene aggrappata a quello che ci è successo stasera. L’incontro per le scale del palazzo, il tuo sorriso ironico, l’invito a prender un bicchier d'acqua che poi diventa una pasta mangiata assieme, i racconti di vita reciproca. E poi la tua mano che sfiora il mio collo mentre lavo i piatti, l’ altra che cinge i miei fianchi. Il mio sorriso, il tuo sorriso. La tua bocca che cerca la mia e la mia che risponde e quelle parole silenziose che si dicono solo quando ci si bacia. E ancora le tue mani, che mi stringono ora con forza, che si aggrappano ai miei seni, fino a far male. Mani che scendono , con la volontà di liberarci dalla stretta costrizione di vestiti, adesso inutili. Una barriera al calore, autentico, dei nostri corpi che si cercano, si sfiorano, si assaggiano come se la fame fosse quella di una vita. E solo ora si potesse davvero mangiare. E ancora io, sopra di te, a sorriderti, ondeggiando, pensando che a questo punto non sei manco tu dentro di me ma sono io dentro di te dentro di me. E il calore sale e la fame aumenta. Tu che ridi dei miei occhi gialli, che quando faccio l’amore paio una lupa polacca, dici. E io che rido delle tue buffe smorfie, che mi divertono, dico. E ridendo e assaporando, io mangio la tua vita e tu la mia, mentre io mi muovo sopra di te, imparando ad andare al tuo di ritmo. Siamo come due ballerini che hanno paura di pestarsi i piedi nel paso doble e vanno lenti, ma convinti, e più trovano sintonia, più improvvisano e sanno andar veloci e trovano la loro, di musica, da ballare. E quando sentiamo che tu sei davvero dentro di me che sono dentro di te che sei dentro di me, allora, si può solo gridare. Non si può dire, tranne quel che sa dire un lungo bacio disperato che non saprà mai di morte. Perché la vecchia stanotte, in questo letto, l’abbiamo fregata di nuovo, scacciandola con la chimica del nostro piacere. E dormire adesso sì che diventa facile e le gambe si placano, lentamente. E il sorriso mi fa compagnia, come fa compagnia a te stanotte.

3 commenti:

Niki1601 ha detto...

Proprio così, con in più il maglione dimenticato...

randomante ha detto...

ero qui solo per vedere chi è la maggiore fan di spinoza di questo sistema solare :)

fatacarabina ha detto...

Beh allora Randomante, volate bassini eh?

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