Fatacarabina

Fatacarabina

giovedì 23 ottobre 2008

Il marchio

Elena si mise davanti allo specchio. Il suo sguardo riflesso, stanco, dopo la notte insonne, le lanciò un timido sorriso. Lei non risposte neanche con un cenno, gli occhi arrossati e lucidi, la mente annebbiata dopo una notte di vino e rum. Si sedette sulla tazza del water e si accorse solo allora del silenzio che invadeva la casa. Non c'era nessuno con lei a smaltire il post-sbornia. Era quello il momento più difficile, il mattino dopo.
Lui se n'era andato, lo faceva sempre. Non era una novità, ma Elena si sentiva infastidita: la mattina, dopo ogni sua partenza, sentiva la sua assenza. E un leggero nervosismo le saliva dentro, dall'interno cosce fino al petto.
Bastava dirlo.
Ma non riusciva a dire. Una parola sola poteva bastare, pensò. Resta.
Niente, non la sapeva dire quella parola, non le usciva dalla bocca. La pronunciava solo dentro di se quando lui oramai era lontano. A vivere la sua vita.
Poco male, si disse Elena , per scacciare quel pensiero fastidioso. Faccio quello che voglio, conduco io la mia vita, decido io per me. E comando. Ho un lavoro importante, una carriera in ascesa. Cosa mi serve un compagno? Se lo ripeteva anche stavolta, seduta sulla tazza del water.
Amore? No tra loro era solo sesso.
Lui non chiedeva di più e a lei andava bene. Nessun coinvolgimento emotivo, solo divertimento.
Elena si lasciava andare, si divertiva. Lui non doveva costringerla, doveva solo sussurrarle all'orecchio e sorridere, come faceva ogni volta che la voleva. E lei, docile, si trasformava in quel che di giorno non era mai. Remissiva.
Elena si alzò e si diresse di nuovo verso lo specchio. Stavolta si accorse subito del segno, un morso netto sotto il seno. Il solco lasciato dai denti di lui le avevano arrossato la pelle. Si potevano anche contarli i denti che avevano lasciato quel marchio.
Come il morso di un lupo. Elena si concesse un sorriso, mentre ammirava quella meraviglia, la sfiorava. Poteva ancora sentire la forza di quella bocca. E ricordava:lui l'aveva attirata a se e aveva stretto il seno tra le labbra come se volesse mangiarla.
E lei , adesso, allo specchio si diceva che avrebbe voluto volentieri esser finita a brandelli dentro il suo stomaco, a farsi sciogliere dai suoi succhi gastrici, diventando nutrimento per lui.
Assaggiata, addentata, masticata, ingoiata.
Un bel modo per sparire.
Svanire dentro chi ti desidera, per stare sempre con lui.
Anche Elena, pensò tra se, non era stata da meno; anche lei gli aveva addentato il braccio, con foga. Non aveva urlato. E Elena ricordando, si congratulò con se stessa. Stava imparando, lui sarebbe stato orgoglioso di lei. Era stata brava. Si lasciava andare, senza temere. Si lasciava godere senza tirarsi indietro.

La sveglia si mise a suonare. Erano le nove. Elena si scosse di colpo, si guardò attorno. Rischiava di far tardi, di non arrivare in ufficio in tempo. Si vestì velocemente mentre il caffè borbottava dentro la moka sul fuoco. Si sistemò i capelli, indossò la giacca. Si sfiorò lievemente il seno, con il piacere di esser l'unica a sapere che sotto la giacca, la camicia, il reggiseno c'era il suo segreto.
Il dolore al minimo tocco ritornava alla mente, come un piacere silenzioso. Penetrante come una fitta.
Arrivata in ufficio, Elena sistemò la borsa nell'armadietto, girò attorno alla scrivania, controllò con il dito che la scrivania fosse pulita. Al solito non andava bene. Elena aprì un cassetto, tirò fuori una salvietta e dell'alcool e pulì di nuovo il piano di lavoro. Doveva esser perfettamente pulita la sua scrivania, lo diceva ogni volta a quella imbecille della donna delle pulizie.
Imprecando, si tolse la giacca, inforcò gli occhiali e si mise a leggere il giornale.
Poi venne distratta da un paio di colpetti alla porta. Un grugnito acido di Elena era il segnale per entrare. Lo sapevano tutti in ufficio.
Paolo, il suo segretario, entrò tenendo tra le mani il vassoio. Sopra una tazza di caffè fumante e due bustine di zucchero di canna. Lei gli lanciò un sorriso tirato, lui replicò con un buongiorno bofonchiato alla meno peggio.
Paolo sistemò il vassoio e si fermò davanti ad Elena, in attesa delle indicazioni della giornata.
Ma Elena, sollevato il viso dal giornale, restò stupefatta.
Paolo la guardava e sorrideva, con quella smorfia del viso che mai aveva aveva osato mostrare in ufficio, nel regno di Elena. Mai si era permesso di guardarla così fuori dal letto.
La stava evidentemente sfidando.
Ma in ufficio non si poteva giocare, questo Paolo non poteva dimenticarlo.
La mano di Elena istintivamente andò a sfiorare il seno. Il morso sotto la camicetta pulsava, le faceva male come se l'attacco fosse appena avvenuto.
Paolo sollevò la manica della camicia e si strofinò il braccio.
Poi tolse la mano, facendo in modo che Elena vedesse. Un morso, netto, con i segni dei denti sulla pelle arrossata.
Il suo morso.
Elena sorrise. Ora avevano un marchio, un legame tutto loro.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

La sottomissione della femmina che dentro il letto esprime tutta se stessa, che accetta il maschio dentro di sè, vuole essere presa dal suo uomo, fino a farsi mangiare per diventare parte di lui.

Ma poi gli morde un braccio? Che fa, si ribella?

fatacarabina ha detto...

il braccio non lo ritieni sufficiente?

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