Fatacarabina

Fatacarabina

venerdì 29 agosto 2008

Peter

L'ho incontrato in una vallata vicino a Caqui, nel Nordest argentino, durante il mio secondo viaggio nel paese dove si può ancora vedere l'infinito. Avrei voluto portarlo con me ma era senza passaporto e mi era impossibile, convincerlo a lasciare quelle terre.
Ammetto che ancora oggi non riesco a pensare a lui senza sentirmi all'improvviso triste. Perchè Peter in poco più di due ore ha saputo darmi più di tanti altri.
L'ho conosciuto davanti ad una casa, mentre cercavamo le indicazioni per raggiungere alcune interessanti pitture rupestri. E' apparso dietro ad una bambina uscita da una casa ad un piano tra le piante con un porticato sconnesso, e che era corsa a vedere se ci eravamo persi.
Lei ci parlava, placida e sorridente; lui è spuntato alle sue spalle. Lo sguardo sereno, l'occhio furbo. Si è avvicinato a noi, e si è piazzato di fronte a me in attesa.
"Se volete vedere le pitture rupestri, vi porta Peter", ci ha detto la ragazzina.
Neanche ho fatto in tempo a chiedere quanto ci sarebbe costato il disturbo.
Lui mi ha guardato, si è girato ed ha cominciato a camminare davanti a noi verso la montagna. Il sentiero passava in mezzo ai rovi, con un percorso tra le pietre su cui si camminava in modo sconnesso. Ma Peter sapeva il fatto suo, anche senza bisogno di cartelli intuiva in che punto si doveva girare a destra rispetto al cespuglio di cafajate o piante dai rami spinosi. Lui non parlava e noi in reverenziale silenzio lo seguivamo lungo la salita in fila indiana. Era lui il nostro capo.
Ogni tanto spariva veloce alla nostra vista. Ma niente paura ; ce lo ritrovavamo davanti all'improvviso, sorridente. Come se la fatica del cammino neanche lo sfiorasse. Oramai eravamo ad un passo dalle rocce, salivamo sfiorandole attenti a non mettere un piede in fallo. All'improvviso davanti ad un costone di roccia Peter si è fermato, come impietrito. Fissava la parete,estasiato, e quello sguardo ci ha spinto a vedere nella direzione in cui voleva lui che guardassimo.
All'inizio non capivamo, pensavamo alla presenza di qualche animale nascosto tra le rocce. Poi lo stupore si è impossessato di noi: le avevamo individuate, stavamo guardando le pitture rupestri. Segni lasciati dagli uomini migliaia di anni fa.
Mi sono seduta su una roccia che sporgeva dal terreno, per guardare meglio e anche riposarmi.
Peter, silenzioso, mi si è seduto vicino. Senza dirci niente, siamo rimasti mezz'ora a fissare la parete, guardando i colori, le forme di quelle tracce antichissime: una scena di caccia , cacciatori dipinti di rosso mattone ed un animale , forse un cervo o un lama, in corsa inseguito dall'uomo che lo voleva uccidere.
Colori che si erano fusi con i toni della roccia.
Io guardavo, ma sentivo accanto a me il calore della presenza di Peter. Per lui, parlava il respiro, cadenzato come un mantra.
Non so perchè l'ho fatto, ma l''ho abbracciato e lui non si è scostato, anzi si è fatto più vicino a me. Abbracciandolo potevo sentire distintamente il rumore del suo respiro e poi il battito del cuore. Rilassato, sereno. Mi sono sentita allora un tutt'uno con quelle terre selvagge e sterminate. Avevo ritrovato davanti ad una roccia il senso dell'infinito che cercavo attraversando le Ande.
Non mi sarei più staccata da quell'abbraccio gentile che mi aveva riempito l'animo di pace, di quiete.
Ma Peter, forse imbarazzato da tanta improvvisa intimità con una sconosciuta, all'improvviso si è rialzato e si è allontanato da me. Riprendendo il cammino verso la casa della sua amica, ogni tanto si voltava a vedere se lo seguivamo.
Voleva essere sicuro che non ci trovassimo in difficoltà durante la discesa. E così è stato, tutto è andato per il meglio e la sua piccola amica era ad attenderci, sorridente, per sincerarsi che la gita fosse riuscita per il meglio.
I saluti sono stati una formalità, come spesso accade tra persone che parlano lingue diverse. Con Peter non sono servite parole, invece. Il suo sguardo fiero e attento indicava che aveva capito quello che mi era successo, che mi ero sentita parte del suo mondo. E gli bastava. Se ne è andato dopo avermi sorriso e baciato la mano sinistra.
Dopo anni ripenso a lui con affetto e tristezza.
Non era bello, non sarebbe mai stato mio.
Ma era un cane e solo lui poteva insegnarmi il piacere della pace interiore.

2 commenti:

fatacarabina ha detto...

Questa è la bozza del mio ultimo racconto.
Trovato un pò di coraggio, la offro in pasto alla rete per vedere che succede...
ciao a tutti

Anonimo ha detto...

delicato, molto bello
OT: Davvero conosci così bene la mia terra?

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